Bambini (non ancora nati, peraltro) già etichettati come bambini si serie B. Questo sembra essere la scelta del ministro Giancarlo Giorgetti e del governo Meloni. La legge 234/2021, la legge di bilancio 2022, governo Draghi, all’articolo 1 comma 172, prevede uno stanziamento, crescente di anno in anno, fino a stabilizzarsi sulla cifra di un miliardo e 100 milioni annui, a partire dal 2027, per incrementare in percentuale, nel limite delle risorse disponibili per ciascun anno, il numero dei posti negli asili nido, “sino al raggiungimento di un livello minimo che ciascun comune o bacino territoriale è tenuto a garantire. Il livello minimo da garantire di cui al periodo precedente è definito quale numero dei posti dei predetti servizi educativi per l’infanzia, equivalenti in termini di costo standard al servizio a tempo pieno dei nidi, in proporzione alla popolazione ricompresa nella fascia di età da 3 a 36 mesi, ed è fissato su base locale nel 33%, inclusivo del servizio privato”. Testuale, virgolettato.
Da pochi giorni, il governo ha inviato all’Unione europea il cosiddetto Piano strutturale di bilancio di medio termine (Psbmt) 2025-2029, nel quale si legge, nell’Appendice VI, Tavola A.VI.4, tra l’altro: “Linea di Azione: servizi per la prima infanzia; Interventi chiave: garantire un’adeguata disponibilità di posti per i servizi per l’infanzia; Indicatore: garantire che le strutture pubbliche e private per l’infanzia abbiano una disponibilità di posti pari ad almeno il 33% del numero dei bambini sotto i tre anni, a livello nazionale. Garantire che le strutture per l’infanzia abbiano una disponibilità di posti, pari ad almeno il 15% del numero dei bambini sotto i 3 anni, a livello regionale”. Con poche parole, in una frasetta di una tabella allegata a un documento, il governo abbassa il Lep relativo agli asili nido, l’unico di fatto fissato finora, in maniera coerente e ragionevole, e soprattutto con i finanziamenti per raggiungerlo.
Il piano, quindi, sta chiaramente violando una precisa disposizione di legge, facendo dell’obiettivo (stabilito peraltro a livello europeo già da molti anni) del 33% di posti rispetto alla popolazione di bambini “aventi diritto”, un obiettivo come “media nazionale” e non più locale, Comune per Comune, e abbassando al 15%, regionale (ancora, non Comune per Comune), il livello minimo, una sorta di Lep. È importante aver presente che il sevizio di asilo-nido non è un servizio da valutare su base nazionale o regionale ma, per la sua specificità, Comune per Comune, addirittura locale.
Il governo Meloni deve fare cassa, ha bisogno di risparmi, e per questo trova “facile” penalizzare, ancora una volta, il Mezzogiorno: stavolta ci vanno di mezzo i bambini non ancora nati, perché il piano fa previsioni dal prossimo anno fino al 2029. O almeno dichiara di poter raggiungere gli obiettivi nel 2027. Quindi la popolazione di bambini aventi diritto va da quelli nati nel 2024 a quelli che nasceranno negli anni futuri.
In molti, tra gli altri l’associazione “34-Testa al Sud”, si sono accorti del tentativo, che si è cercato di nascondere, mettendo la cosa in una appendice, in una tabella allegata quasi per occultare la scellerata scelta, e lo stanno denunciando con forza. Con comunicati stampa, servizi nei telegiornali, dichiarazioni e commenti vari su stampa e social media. Lo hanno fatto giornalisti, economisti, intellettuali e attivisti, politici e parlamentari, associazioni meridionaliste, appunto, come la già citata “34-Testa-al-Sud”. Tutti impegnati, ciascuno dal proprio “posto di battaglia”, a far saltare questo osceno e subdolo tentativo di sviare finanziamenti dal Sud al Nord. Ancora.
Il Piano strutturale di bilancio, in definitiva, sta dunque violando la legge, o, per lo meno, la legge in vigore adesso; chissà se il ministro Giorgetti, che sicuramente conosce (!) la legge di bilancio 2025 in dirittura d’arrivo nelle prossime settimane, non abbia previsto, proprio nella legge di bilancio, la modifica di quella norma, una riduzione del “Lep-Asili nido”, in modo da risparmiare miliardi, lasciare al Nord un finanziamento elevato (spesa storica o anche un suo aumento), impedire di fatto al Mezzogiorno di colmare il divario di servizi con il resto del Paese. Al di là di tecnicismi, di disposizioni finali, di rimaneggiamenti e codicilli, l’obiettivo sembra essere proprio quello.