SEZIONI
SEZIONI
Bari
Sfoglia il giornale di oggiAbbonati

Il Mezzogiorno forma i giovani e li “regala” al Nord, i politici se ne ricordino

Negli ultimi venti anni oltre due milioni di meridionali hanno scelto di lasciare le loro comunità di origine e i loro affetti per partire e cercare fortuna e gratificazioni altrove. Lontano da casa, spesso molto lontano. Una marea di persone che andando via ha impoverito, innanzitutto socialmente e poi anche economicamente, il Sud.

In questi due milioni di abbandoni spiccano quelli di ben 700mila laureati, giovani menti che si sono lasciate alle spalle le rispettive terre di origine. Questi sono i dati drammatici dell’ultimo rapporto Svimez-Istat con i quali la politica stenta a confrontarsi, a dare risposte sistemiche tanto da poter dire che questa è una battaglia oramai persa, espressione che solitamente utilizziamo con rassegnazione per descrivere una situazione definitivamente compromessa. Non più recuperabile o, almeno, non nell’immediato.

Ogni anno, questa è la triste media documentata, il Mezzogiorno perde un giovane su quattro che ottiene un titolo accademico. Si tratta di un enorme capitale umano formato sul territorio meridionale che, volendo o non volendo, porta fuori dalle regioni di nascita e di formazione le sue preziosissime competenze.

Il paradosso – sottolineato anche di recente da una ricerca della Banca d’Italia – di questa atavica emorragia che nonostante tutto non si cauterizza è che ogni laureato che decide di trasferirsi costa in media allo Stato 200mila euro.

In sostanza, le risorse destinate al Sud vengono investite per formare le nuove generazioni, ma a beneficiarne per la maggior parte sono altri territori, nazionali o extra-nazionali che diventano nuove residenze e nuove patrie per chi decide di partire, che poi godono dei frutti che questa forza lavoro produce in loco. Questi numeri sono crudeli e ci dicono nella loro disarmante sincerità che qualsiasi politica pubblica, anche quella più efficace, non riuscirebbe a innescare una riduzione sensibile di questa tendenza e di questi flussi se non prima di un decennio. Nel frattempo è chiaro a tutti che questa tendenza sarà diventa oltremodo strutturale più di quanto non lo sia oggi.

I diversi Governi nazionali e regionali che si sono susseguiti negli ultimi vent’anni, per restare ancorati alla scansione temporale fatta dalla Svimez e dall’Istat nella loro analisi, hanno colpevolmente trascurato il problema. Per miopia politica, per incapacità oggettiva o solo per un calcolo di interessi di parte. Intanto, questo dato apre una voragine che difficilmente potrà essere colmata anche alla luce dell’inverno demografico che assottiglia sempre più l’Italia e il Mezzogiorno e ancor di più i piccoli comuni delle aree interne. I primi a subire le conseguenze negative e nefaste di questa ondata migratoria. Certo, è nostro compito guardare alle due facce delle medaglie e incolonnare in questa partita doppia dei flussi migratori anche coloro che tornano nei loro paesi. Giovani che dopo una esperienza di lavoro “fuori” decidono di tornare per fare impresa, per coltivare nei loro luoghi di origine i loro sogni.

Al Sud, nel 2023 sono nate più di 7mila nuove imprese giovanili – come conferma Invitalia – solo che per quanto queste iniziative imprenditoriali siano un segnale positivo e incoraggiante, rappresentano ancora una goccia nell’oceano. Con questi dati dovrebbero in primis fare i conti i prossimi candidati presidenti, in Puglia come in Campania, e tra loro pensare a politiche pubbliche di macro-aree piuttosto che di sterili provvedimenti che non tolgono la sete dei tanti che ancora vogliono restare. Restare al Sud per vivere e non sopravvivere.

ARGOMENTI

attualità
giovani
mezzogiorno
nord
sud

CORRELATI

Bentornato,
accedi al tuo account

Registrati

Tutte le news di Puglia e Basilicata a portata di click!