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Il saluto da San Pietro e il Poverello d’Assisi punto di riferimento

Papa Francesco, nato Josè Mario Bergoglio, conclude il suo ministero iniziato il 13 marzo 2013 quando il collegio cardinalizio lo elesse 266esimo successore di Pietro. Affacciatosi alla loggia di san Pietro lasciò fin da subito stupito il mondo, dopo un confidenziale “buonasera”, scegliendo quel nome così evocativo che mai nessun Papa in oltre ottocento anni aveva inteso violare: “qui sibi nome imposuit, Franciscus”, con queste parole e con la voce tremebonda il cardinale protodiacono Jean-Louis Pierre Tauran annunciò a Roma e al mondo, la sera di quel giorno, mentre sulla piazza si radunava la folla di fedeli e il cielo minacciava pioggia, che il nuovo Capo della Chiesa aveva scelto di chiamarsi come il poverello di Assisi. «È venuto il nome, nel mio cuore, Francesco d’Assisi. È per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato», spiegò il nuovo Papa alcuni giorni dopo, confermando che quella scelta era un manifesto. La Chiesa voltava pagina dopo i lunghi e travolgente 27 anni di san Giovanni Paolo II e soprattutto in seguito agli otto anni di uno dei Papi più soli della storia, quel cardinale Joseph Ratzinger, «l’umile servo della vigna del Signore», che volle rifarsi a Benedetto XV, il papa della prima guerra mondiale, “dell’inutile strage”, «autentico e coraggioso profeta di pace». Francesco irrompe nella storia con la granitica fede dei Gesuiti, i soldati di Cristo voluti da Sant’Ignazio di Loyola, testimoni di una fede senza se e senza ma.

I primi giorni di pontificato servono per dire al mondo che, nonostante gli attacchi, la Chiesa è viva e risponde con uno dei suoi uomini più amati, ma anche più determinati ad affermare la forza e la coerenza della Fede. Sono gli anni dei romanzi di Dan Brown, degli angeli e soprattutto dei demoni, come le ripetute accuse di pedofilia e abusi sessuali al mondo ecclesiastico, ma anche dell’irrompere della cultura gender e dei temi woke, che ledono alle fondamenta quei “principi non negoziabili” su cui mai si transige, a partire dalla difesa della vita. Francesco, però, non teme il confronto e tra una borsa nera da viaggio, con dentro “bibbia e rasoio” portata a mano mentre sale su un aereo e una conferenza stampa improvvisata inizia a infrangere tetti di cristallo: «chi sono io per giudicare chi è gay?», dice tornando da Rio De Janeiro al termine della giornata mondiale della gioventù a luglio 2013.

Non solo etica, ma anche riforme, il pontificato di Francesco I è un rosario di cambiamenti: rinnova la Curia, ovvero il potere esecutivo della Chiesa, cambia gli istituti finanziari, a partire dal sempre discusso Ior, approva un nuovo codice penale vaticano e modifica il catechismo. I dogmi della fede di Bergoglio, invece, vengono scolpiti in tre encicliche, la prima, Lumen fidei, scritta a quattro mani con Benedetto XVI, il papa emerito che vive “nascosto al mondo”, ma anche nelle esortazioni apostoliche e nei numerosi motu proprio, contestualmente all’impegno sociale nella storia del mondo che incrocia il pontificato di Francesco con una nuova guerra in Europa, il dramma della Terra Santa e con una miriade di conflitti che vengono definiti da Egli stesso “terza guerra mondiale a pezzi”. Tutela dell’ambiente e accoglienza dei migranti, invece, sono due angosce che impongo al Papa esortazioni continue. Che si tratti dell’Angelus domenicale o della partecipazione al G7, Francesco non smette mai di stimolare governanti e governati all’accoglienza dell’altro e alla cura per il pianeta. Così come da solo, in quell’immagine che resterà il simbolo del pontificato nella storia, sotto la pioggia in una lugubre e buia piazza San Pietro, affronta, a Pasqua del 2020, la pandemia che imprigiona il mondo portando sulle sue spalle la croce miracolosa di San Marcello che deve “salvare il mondo”. È stato definito “liberale e progressista”, ma anche il primo papa “social”, presente su tutte le piattaforme. Pontefice di due giubilei: quello straordinario della misericordia nel 2016 e quello ordinario iniziato con l’apertura della Porta Santa la notte di Natale del 2024 e che avrebbe dovuto concludersi idealmente con l’incontro con i giovani previsto a fine luglio a Tor Vergata. Quei giovani che sono sempre stati al centro dell’azione pastorale di Francesco con l’invito a «non essere pensionati della vita».

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