Oltre il 40% dei ragazzi che hanno sostenuto la prima prova dell’esame di maturità l’altro ieri hanno scelto la traccia dedicata al rispetto. Ma per noi cosa significa questa parola? Secondo gli antichi si trattava di qualcosa che non faceva oltrepassare un confine invisibile, qualcosa che delimitava un’area nella quale si riconosceva l’altro nella sua alterità, nella sua lingua, nella sua cultura, nel suo corpo, nella sua sacralità.
Pensiamo ad Achille quando, negli ultimi capitoli dell’Iliade, accoglie Priamo, il re dei suoi nemici, concedendogli il cadavere di Ettore, ma anche ospitandolo nella propria tenda e dividendo con lui il pasto. Etimologicamente la parola deriva dal latino “respicere”, ovvero “guardare indietro”, “guardare nuovamente”.
Forse gli antichi ci volevano dire che il rispetto è per prima cosa uno sguardo? Uno sguardo anche nei confronti di chi è invisibile, in questa società di totem di latta?
Per i Greci una persona è un “prósopos”, colui che sta davanti ai miei occhi e Platone dice che se uno con la parte migliore dei suoi occhi guarda la parte migliore degli occhi dell’altro, vede se stesso. Perciò il rispetto non è tolleranza, che ci metterebbe ad un livello superiore, ma costruire un ponte e accogliere.
Ecco, il rispetto è fatto di ponti, di ponti che collegano isole, ma anche di ponti levatoi che si abbassano per lasciare entrare, ma si possono alzare per impedire il passaggio, perché in fondo il rispetto è anche accettare che l’altro sia semplicemente un’isola.
Bentornato,
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