L’inizio di settembre ha coinciso con la presa in carico di migliaia di “occupabili”, persone tra 18 e 59 che vivono in condizioni di povertà assoluta e adesso possono percepire il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) da 350 euro mensili al posto del “vecchio” Reddito di cittadinanza (Rdc).
Per le politiche occupazionali si tratta di una svolta non di poco conto, visto che va in soffitta un meccanismo che, da una parte, ha contribuito al sostentamento di migliaia di poveri soprattutto durante la pandemia, ma dall’altra è stato oggetto di storture se non di truffe vere e proprie, come quella dei 301 stranieri che in Salento hanno percepito il sussidio pur non essendo residenti in Italia da almeno dieci anni o quella dei 48 giovani tranesi che per intascarlo non hanno esitato a dichiararsi senza dimora. Sono queste, d’altro canto, le motivazioni che hanno spinto il governo Meloni a optare per una impostazione diversa che, tuttavia, accanto a molte luci presenta altrettante ombre.
Partiamo dalle prime: il Sfl è calibrato sul singolo individuo, dunque non più sul nucleo familiare, il che è senz’altro più logico e utile nell’ottica delle politiche attive del lavoro. In più, il Sfl viene assegnato soltanto se il beneficiario svolge attività di politica attiva del lavoro rendicontata da un operatore all’Inps, mentre ai tempi del Rdc era sufficiente la semplice presa in carico che spesso non era seguita da altre misure. Eppure la strategia del governo Meloni al Sfl rischia di replicare le aberrazioni che hanno caratterizzato il Rdc. Un esempio? Per ottenere il sussidio, il beneficiario deve svolgere attività di politica attiva del lavoro come quelle previste dal programma Gol: orientamento specialistico, tirocinio, accompagnamento al lavoro, ma anche corsi per l’istruzione degli adulti, servizio civile universale e lavori di pubblica utilità.
Stando a quanto chiarito dall’Inps nella circolare 77, la partecipazione a queste attività dà diritto al pagamento di un importo pari a 350 euro mensili non frazionabili per un periodo della durata massima di 12 mesi. Seguendo questo schema, quindi, è possibile ottenere i 350 euro anche se, nel mese considerato, si è stati impegnati nelle attività di avviamento al lavoro per un solo giorno. E non finisce qui. Secondo autorevoli giuslavoristi, la circolare dell’Inps consente di cumulare più misure di politica attiva e accedere al sostegno del reddito anche senza partecipare a corsi di qualificazione o riqualificazione professionale: Lucia Valente, ordinaria di Diritto del lavoro all’università “La Sapienza” di Roma, sostiene che, unendo l’orientamento specialistico con l’accompagnamento al lavoro registrati in due mesi differenti, gli occupabili possano arrivare a intascare 700 euro. Fatta la legge, trovato l’inganno.
Che fare, dunque? L’imperativo è evitare che il Sfl non si trasformi nell’ennesima occasione persa per formare e avviare al lavoro migliaia di persone che vivono in condizione di povertà soprattutto al Sud. Per centrare l’obiettivo è indispensabile emanare norme più precise e dettagliate, magari chiarendo che il beneficio economico si ottiene soltanto a fronte della partecipazione a una determinata attività di politica attiva del lavoro. Altrimenti, di questo passo, si finisce per trasformare il giro di vite sul Rdc in una nuova forma di assistenzialismo, lo stesso che il governo Meloni ha dichiarato di volere cancellare. Che si tratti di una mossa studiata a tavolino per garantire la pace sociale a pochi mesi dalle elezioni europee? “A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.
Raffaele Tovino – dg Anap
Bentornato,
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