Il Mezzogiorno d’Italia è frontiera d’Europa, è un ponte verso l’Africa e il Vicino Oriente al centro del Mediterraneo, e, nello stesso tempo, è una faglia aperta, una frattura tra il benessere occidentale e l’umanità dolente che fugge da guerre e fame alla ricerca di condizioni di vita migliori.
Come tutti i luoghi di frontiera, il Mezzogiorno è terra ibrida di contaminazioni dove sviluppo e arretratezza convivono, una terra di opportunità ed emarginazione. Nel grande spazio europeo, il Mezzogiorno-frontiera si confronta con un’altra frontiera, quella che separa l’Est dall’Ovest, l’altra faglia che corre dal Mar Baltico al Mar Nero, spostando a oriente la vecchia linea della Cortina di Ferro. Anche la frontiera orientale d’Europa è terra di contaminazione: coalizzati nel Gruppo di Visegrád, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria sono sospese tra sogni di opulenza e incubi di antisemitismo, xenophobia populista e autoritarismo plebiscitario, che segnano la loro storia.
Il piano Next Generation Eu, varato nel luglio del 2020, ha privilegiato senz’altro il fronte Sud, attribuendo all’Italia 192 miliardi, pari al 26,54% delle risorse totali (723,8 miliardi), di cui almeno il 40% deve contribuire allo sviluppo delle regioni meridionali. La frontiera Est (Gruppo Visegrad, Paesi Baltici, Romania e Bulgaria), ha ottenuto 49,82 miliardi, pari al 6,6% del totale. Nonostante le ingenti risorse destinate al Mezzogiorno, la frontiera Est mostra maggiore dinamismo, seppur sotto la costante minaccia di sospensione dei finanziamento per la violazione dei valori dell’Unione Europea.
Se si considera l’indice di ricchezza del Pil, si può comprendere il progresso compiuto dai paesi Visegrád in questi 20 anni: il Pil pro capite medio in Repubblica Ceca è all’86% della media UE, in Ungheria e Polonia il dato scende attorno al 70%. I dati di alcune regioni meridionali indicano il loro netto impoverimento nello stesso periodo: nel 2000, il Pil della Campania era del 18% più basso della media UE, nel 2019 è del 39% inferiore. La crescita della frontiera Est è stata in gran parte determinata dagli investimenti esteri diretti, che, nei quattro paesi Visegrád, raggiungono in media il 51% del Pil nazionale, contro la media europea del 45%. La Repubblica Ceca ha il tasso di disoccupazione più basso nell’Unione Europea (2,1%) e per il gruppo di Visegrád il dato medio è del 3,9%, contro la media europea del 6,5%, con un tasso di crescita su base annua di + 4,4% nel 2023, mentre la media Unione Europea è di + 1,1%. I paesi di Visegrád sono riusciti a inserirsi nel tessuto produttivo europeo, offrendo soprattutto all’industria tedesca vantaggi enormi. Il Mezzogiorno italiano resta invece ai margini dello sviluppo, così come ai margini si collocano alcune regioni spagnole e greche.
A differenza del blocco di Visegrád, i paesi del Mediterraneo non hanno definito forme di coordinamento per tutelare i loro interessi comuni nell’ambito dell’Ue. Nonostante che la guerra russo-ucraina abbia scalfito la loro unità di intenti in politica estera, il blocco di Visegrád resta intatto sul fronte degli interessi economici. Queste elezioni europee, con il successo dei partiti di destra estrema in Germania e Francia, potrebbero segnare la fine del modello renano, costruito sull’intesa franco-tedesca, e segnare l’ascesa del modello di Visegrád, che tanto affascina le destre, con l’obiettivo di trasformare l’attuale Unione in una sorta di Confederazione Europea in cui a prevalere sono le sovranità nazionali e non l’odiosa burocrazia di Bruxelles.