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Il pensiero degli antichi greci contro il pensiero unico capitalista

La questione di fondo in questo avvio del terzo millennio verte sugli orizzonti lungo i quali la nostra società si sta muovendo. Certo non da oggi, ma oggi con velocità e rischi sicuramente più accentuati rispetto a ieri. Ne deriva una irrinunciabile responsabilità collettiva, ma prima di tutto individuale, a opporsi a tale deriva.

È sotto attacco la capacità di ciascuno, dei singoli popoli e dell’umanità nel suo complesso, di seguire, per dirla con Dante, “Virtute e Canoscenenza” secondo principi di responsabilità, autonomia, solidarietà, cooperazione e compassione unanimemente riconosciuti, per continuare parafrasando Leopardi. Si sono progressivamente ristretti gli spazi di libertà individuale e collettiva al punto che la cloroformizzazione della società è un dato inoppugnabile mentre si diffonde e prevale il cosiddetto pensiero unico che omogenizza giudizi e comportamenti al riparo da ogni visione critica.

Lo stato in cui versa la scuola, trasformata in azienda che disconosce il cosiddetto sapere inutile, l’acquiescenza di fronte ai fenomeni di recrudescenza della violenza, la confusione stessa che rende labili i confini della libertà e della costrizione, ne sono altrettante cartine di tornasole. L’assoluta acquiescenza, quasi si tratti di un fenomeno giusto, scontato e necessario, ai processi di privatizzazione dei servizi, tutti i servizi, dalla sanità alla sicurezza collettiva, alla formazione delle professionalità necessarie a far funzionare le contemporanee società (quelle che un tempo davano vita alle classi dirigenti) ne sono altrettanti specchi in cui riflettersi. Su tutto si staglia il processo di castrazione dei popoli e delle nazioni attraverso la progressiva sterilizzazione delle coscienze, la negazione della società aperta, l’eliminazione del lavoro, della scuola e dell’università come ascensori sociali, l’impoverimento della passione civile e del senso civico, l’annullamento di ogni approccio critico, con la conseguente cancellazione di ogni capacità/volontà di ribellarsi.

Il degrado culturale, dal canto suo, avanza con la compressione del lessico disponibile e lo svuotamento della lingua in favore di un linguaggio primitivo e gergale spesso sopraffatto da simboli e segni che sostituiscono le parole. Sono tutti altrettanti passaggi messi in atto, in uno con la reiterata, raffazzonata visione edonistica, cinica e relativistica-egoista della vita, per cancellare la cultura dell’impegno individuale e collettivo che avrebbe potuto e dovuto aprire la strada ad una visione del mondo condivisa, al riparo da sopraffazioni, dominazioni, appropriazioni/distruzioni delle ricchezze della terra e dell’umanità che pure sembrava alla portata del mondo appena qualche decennio addietro.

Il governo unico del mondo, prima teorizzato e poi realizzato dalla speculazione finanziaria, metastasi del capitalismo ma anche del comunismo, è oggi una realtà. Si è aperta la strada predicando la bontà prima e la necessità dopo delle privatizzazioni (tutte ed in tutti i campi). Ha proseguito imponendo il divorzio delle banche centrali dalle autorità politiche e istituzionali. Ha compromesso ogni futuro praticando e alimentando il debito sovrano fino a controllarlo a suo piacimento, usandolo come cappio per strozzare gli Stati e i popoli o come arma di ricatto per appropriarsi delle ricchezze degli stessi.

La Grecia, in tale contesto, è stata usata come esempio per una potente lezione rivolta a tutti; ma anche l’Italia è stata progressivamente spogliata di qualsiasi leva per una azione pubblica sulle frontiere più avanzate dell’industria, della tecnologia, della sicurezza cibernetica e della connessione spaziale, del progresso tout court. Infine ha condotto nella propria disponibilità il destino del mondo. In tale processo si sono consumate le differenze di regime politico, di appartenenza continentale e di alleanze storiche oltre che di comune civiltà.

Il capitalismo, così come declinato da Smith, Ricardo, Schumpeter e anche Marx prima e da Keynes e Galbraith (ed il nostro Caffé ) dopo, é scomparso. Ha smesso di essere motore di sviluppo, progresso e integrazione dei popoli e delle nazioni. La speculazione ipercapitalistica ne è stata la metastasi inarrestabile che ha colpito anche il comunismo.

Oggi il governo unico del mondo è nelle mani degli oligarchi che dispongono della vita e della morte dei popoli, governano le guerre e controllano il Pianeta a dispetto delle finte e transeunti contrapposizioni. Ne consegue un inevitabile, triste epilogo essendo il destino del mondo sottratto alla disponibilità dell’Umanità. Nei tempi recenti, ahimè, tale processo ha subito una drastica, inarrestabile accelerazione.

La rimozione generale della memoria delle sofferenze passate, delle guerre mondiali per impedire la barbarie finale, la confusione di pensiero su libertà e schiavitù, tra genocidio e autodifesa, tra protezione dei propri confini e aggressione, con la riesumazione indolore di ideologie fasciste e naziste sdoganate come innocue e nascoste dietro l’affermazione che non vi è alcun pericolo per la libertà, che tutto è depurato e indolore oltre che incolore, è il capolavoro del governo unico mondiale che oggi si accinge a sperimentare l’ultimo stadio.

Quello che mette insieme finanza e tecnologia, nelle loro estreme espressioni e capacità, tutte, peraltro, in mano ai potentati privati che ora controllano e in prospettiva domineranno gli Stati. La convergenza degli oligarchi di ogni regime e continente va oltre i contingenti dissidi e addirittura oltre le guerre. In questa precisa fase storica va, addirittura, materializzandosi la convergenza degli interessi neoimperialisti dei maggiori protagonisti mondiali che giocano con il mondo esattamente come giocava il dittatore di Chaplin. Ciascuno di essi ha da regolare conti antichi e nuovi.

La Cina con Taiwan ed il Mar Cinese Meridionale, la Russia con l’Est Europeo ed i Paesi Baltici, gli USA addirittura con l’intero continente americano che considera di sua esclusiva pertinenza. In questo scenario l’Europa è annichilita. Al suo interno è in atto da tempo la corsa ad accreditarsi/legarsi a una piuttosto che all’altra testa del Cerbero in funzione dello strabismo della rispettiva visione politica.

Piuttosto che ragionare delle nuove frontiere, tecnologia, spazio, sicurezza digitale e planetaria, povertà, sviluppo, sanità, pace, rimuovendo gli ostacoli che le rendono impossibili, prendendo le distanze dallo strapotere dei potentati privati e della speculazione finanziaria, si insegue l’industria manifatturiera sul versante antico delle auto, dell’acciaio, del carbone, degli idrocarburi, dei beni di consumi, e si gareggia a chi sta con Musk o con Xi Jinping senza rendersi conto che si sta pericolosamente compromettendo il proprio futuro. Per sempre.

Da quanto sopra ne discende che anche la politica per il Mezzogiorno, se non inquadrata nella prospettiva Mediterranea e nel recupero della dimensione europea, non ha alcuna possibilità di sortire effetti diversi da quelli neocoloniali (con l’obbligata destinazione del Sud, desertificato nelle terre di mezzo, ad hub energetico europeo) con buona pace di tutti. Scaturisce da questa visione la necessità di non indulgere al compromesso di pensiero prima che di schieramento e l’obbligo a riprendere in mano il proprio futuro rifuggendo da ogni facile appiattimento sulla base di ragionamenti di comodo che non hanno nulla di pragmatico ma sanno solo di rassegnazione e acquiescenza o tornaconto. Abbiamo tutti il dovere di indicare una prospettiva e testimoniarne il valore perché chi sta arrivando, tra le nuove generazioni, magari riesca a liberarsi dal condizionamento del potere e finalmente si scopra capace di ribellarsi.

Abbiamo bisogno di ritrovare la forza spregiudicata e gioiosa di Camus per riscoprire l’antidoto che può salvare il mondo dal dio del mercato e dalla religione del consumismo, riportando il capitalismo o il collettivismo, secondo le scelte di ciascun popolo, al loro originario stadio di leve del progresso delle nazioni. Abbiamo dalla nostra una grande fortuna. L’antidoto necessario è parte della nostra cultura e della nostra civiltà Mediterranea e si sostanzia, per dirla ancora con Camus, nel senso del limite e della misura praticato dai Greci e da tutti i popoli del “Mare Nostrum”. Esso potrà riportarci, in una interpretazione contemporanea dei processi Vichiani dei corsi e ricorsi storici a ritrovare anche la dimensione primordiale che, sola, può salvarci.

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