Il ministro in Europa? Bene per tutti

Ci dev’essere un motivo se il nome di Raffaele Fitto come rappresentante dell’Italia nella nuova Commissione europea si è imposto pressoché immediatamente all’interno del governo Meloni. Anzi, è probabile che ce ne sia più di uno. E dunque la domanda è: a chi conviene che l’ex governatore della Puglia traslochi da Roma a Bruxelles, magari con deleghe di peso o addirittura il ruolo di vicepresidente esecutivo?

I primi a beneficiarne sarebbero (il condizionale sarà d’obbligo fino a quando non la nomina non sarà ufficializzata) l’Italia e il governo Meloni che potrebbero così riposizionarsi sullo scacchiere europeo. Il mancato sostegno di Meloni a Ursula von der Leyen e le posizioni divergenti tra le forze di centrodestra su alcune questioni strategiche di livello continentale, infatti, hanno guadagnato al centrodestra l’accusa di aver isolato l’Italia: un paradosso visto che, numeri alla mano, Meloni era stata l’unica leader europea a uscire rafforzata dalla dalla tornata elettorale dell’8 e 9 giugno. Ora l’imminente nomina di Fitto a commissario europeo sembra destinata a pareggiare i conti della discussione: nessuno potrà contestare all’Italia e al suo attuale governo di essere marginali in Europa, soprattutto se al ministro dovesse essere affidato un ruolo di primissimo piano.

La nomina di Fitto, però, rappresenterebbe un vantaggio anche per la Puglia e per l’intero Mezzogiorno. Non tanto perché il ministro sia nato in Salento. Su questo Michele Emiliano, attuale presidente della Puglia che di Fitto è lo storico rivale, è stato chiaro: in certi frangenti non conta tanto la provenienza geografica quanto il carattere e la visione politica. Ed ecco il punto: a Fitto si può contestare tutto tranne il fatto di non avere visione chiara delle politiche di sviluppo del Mezzogiorno. Lo ha dimostrato con l’istituzione della Zes unica, la gestione centralistica delle risorse e il riassetto delle molteplici linee di finanziamento sulle quali il Sud può contare in questa fase storica.

Ora questa visione non sarà immune da incongruenze, due su tutte: la contraddizione tra la tendenza all’accentramento che caratterizza la Zes unica e le spinte autonomistiche che sostengono la legge Calderoli oppure l’“anatema” verso le Regioni che spendono le risorse a disposizione in modo lento e inefficiente e i ritardi accumulati nell’assegnazione dei miliardi del Fondo di sviluppo e coesione. Le discordanze, come si vede, ci sono ma non bastano per negare che Fitto abbia un’idea ben precisa delle politiche di sviluppo del Sud. L’ormai certa “promozione” del ministro a commissario europeo, infine, è un’occasione anche per la destra italiana. Il fatto che la scelta sia ricaduta su un moderato indica chiaramente, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, la traiettoria di quell’area politica: i conti con fascismo, neofascismo e postfascismo sono ormai chiusi e, smussato qualche sovranismo di troppo, Fratelli d’Italia vuole guidare la destra sulla strada del conservatorismo europeo.

Il che significa abbandonare definitivamente le catacombe del fascismo per abbracciare una visione più moderna, pur senza indietreggiare su alcuni capisaldi culturali e ideologici. Non si spiega altrimenti il fatto che Meloni abbia preferito Fitto, per anni considerato un corpo estraneo alla destra in quanto democristiano, ad altri fedelissimi, magari “reduci” delle esperienze di Movimento sociale italiano e Alleanza nazionale. Insomma, l’ex governatore pugliese a Bruxelles conviene a tutti. E i benefici tanti si aspettano dal prossimo commissario europeo ricordano quanto sia difficile il compito che egli dovrebbe essere chiamato a svolgere: in gioco c’è il futuro dell’Italia, del Sud, della Puglia, del governo Meloni e anche di una storia politica.

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