C’è un punto fermo da cui partire: l’Europa è nata al Sud. Non lo dico io, lo dice la storia. Era il primo giugno 1955, a Taormina. Mentre il mondo faticava a rialzarsi dalle macerie della guerra, sei Paesi si riunirono proprio lì, nella luce calda della Sicilia, per gettare le basi di una nuova idea: quella di un’Europa unita. Non a Bruxelles, non a Berlino. A Taormina. Nel cuore del Mediterraneo. E allora viene da chiedersi: che fine ha fatto quella visione?
Oggi l’Europa traballa. L’Italia arranca. Il Sud resta spesso nel limbo, sospeso tra promesse e rassegnazione. Ma la storia ci dice altro. Ci dice che è proprio dai margini che può nascere il centro. Che spesso è dalla periferia che arrivano le rivoluzioni più vere.
E allora basta aspettare. Basta piangersi addosso. Basta inseguire modelli che non ci somigliano. Dobbiamo diventare popolo. E lo dobbiamo fare ora. Perché non esiste rigenerazione senza identità. Non esiste riscatto senza coscienza di sé. Il Sud ha tutto per essere un grande popolo: ha lingua, ha memoria, ha dolore, ha passione. Ma soprattutto ha un’enorme voglia di vita. Una fame di futuro che non è più disposta a stare zitta. Non possiamo pensare di cambiare le cose se restiamo divisi, se continuiamo a guardarci da lontano, se ci sentiamo sempre ultimi e soli. Bisogna cominciare a sentirsi parte. Parte di una comunità. Di una stessa lotta. Di una stessa speranza. Solo così possiamo invertire la rotta.
Non servono nuovi slogan. Servono volti, mani, cuori. Servono giovani che restano, anziani che guidano, donne che costruiscono, uomini che ascoltano. Serve una nuova grammatica. E il primo verbo da coniugare è appartenere. Appartenere a questa terra, senza vergognarsene mai. Appartenere a un’idea di Sud che non è più subalterno, ma fondativo. Appartenere a una visione di Italia che riparte dai margini, perché lì c’è il seme della rinascita. Appartenere a un’Europa che o si ricuce o si perde. E che per ricucirsi ha bisogno del Mediterraneo, del Mezzogiorno, del cuore del Sud.
In uno scenario mondiale fatto di guerre, fratture, paure, l’unica risposta è l’unità dei popoli. Ma non un’unione finta, burocratica, senz’anima. Serve unione vera, vissuta, sentita. E il Sud può guidare questo cammino, se smette di essere solo luogo geografico e diventa popolo politico e culturale. Il popolo del Sud è chiamato a un compito storico: rigenerare la fiducia, prima di tutto in sé stesso. Solo così si può generare fiducia nell’Italia. E, da lì, in una nuova Europa. L’Europa non è nata nei palazzi, ma sotto il sole di Taormina. Questo dobbiamo ricordarlo. E da lì, da quel sole, può rinascere tutto. Ma serve un passo. Serve uno scatto. Serve sentirsi parte. Serve diventare popolo. E oggi più che mai, il tempo è questo.