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Il match point di Sinner contro il calcio

C’è una silenziosa sfida nella sfida che Sinner sta vincendo nel nostro Paese: quella contro il calcio, re indiscusso dello sport tricolore. Domenica pomeriggio, mentre il tennista altoatesino alzava al cielo il trofeo di Wimbledon dopo la splendida vittoria contro Carlos Alcaraz, oltre 5 milioni e mezzo di spettatori su Sky seguivano in diretta quella pagina di storia sportiva: il 40,4% di share, uno dei risultati più alti mai registrati per un evento non calcistico su pay-tv.

Un dato che fa riflettere ancora di più se confrontato con quello della Nazionale di calcio: pochi giorni prima, la partita Italia-Moldavia, valida per le qualificazioni ai Mondiali, aveva raccolto su Rai1 7 milioni e mezzo di spettatori e il 38,4% di share. E, come notano professionisti e analisti, mentre gli azzurri giocavano in prima serata, la fascia più ambita per la tv, Sinner e Alcaraz si sfidavano alle 17 di una domenica estiva, uno slot di palinsesto decisamente meno favorevole. Non è solo una questione di numeri: è un segnale culturale.

Da sempre il calcio domina la scena italiana, ma oggi non si può ignorare una crescente disaffezione verso uno sport che porta in campo sempre più mercenari superpagati e sempre meno trascinatori. Ed è la stessa Nazionale a pagarne il prezzo: orfana dei tanti giovani futuri Baresi, Zoff, Pirlo, Del Piero che oggi vengono lasciati a giocare in qualche campetto di periferia, per far spazio negli stadi a nomi blasonati provenienti dall’estero. In questo contesto, il trionfo del gentile Sinner sembra aver scatenato un’energia diversa, una nuova passione nazionale. Il merito non è solo dei risultati.

È il suo stesso stile, come quello del suo rivale/amico Alcaraz, a conquistare: due ragazzi di 23 e 22 anni che incarnano valori oggi sempre più rari nello sport ipermediatizzato: sacrificio, impegno, rispetto per l’avversario, lealtà, resilienza. Jannik sta restituendo all’Italia un ruolo di primo piano nello scenario sportivo mondiale. Un atleta che non è diventato numero uno al mondo per caso: dietro la sua ascesa c’è la fatica quotidiana e la determinazione che lo ha riportato subito in campo anche dopo l’amara sconfitta al Roland Garros, ancora una volta accompagnata da un grande insegnamento «è stata dura ma ho accettato la sconfitta, abbiamo studiato i miei errori e ho cercato di ripartire da lì per diventare un atleta e un uomo migliore».

Ed è stata una gioia per gli occhi anche vedere come i due atleti, perfino nei momenti decisivi del match, abbiano saputo ammettere e correggere errori arbitrali per restituire un punto tolto all’avversario. Un esempio sempre più in antitesi con i disvalori di un calcio dominato da atleti che tentano costantemente di indurre l’arbitro in errore lasciandosi cadere al primo contatto, che inseguono stipendi milionari più che ideali sportivi, dove l’attaccamento alla maglia appare ormai un valore d’altri tempi. Iconico il commento di Roberto Baggio, simbolo immortale del calcio azzurro, che ha speso parole importanti per il tennista altoatesino: «Il primo post che ha pubblicato mia figlia Valentina su Instagram è stato per celebrare Sinner. Mi ha colpito profondamente: è un esempio meraviglioso per tutti i giovani. Io posso augurargli di restare per sempre così. Il mondo ha bisogno di uomini come lui».

Non si tratta solo di entusiasmo mediatico: aumentano i ragazzi che chiedono di iscriversi ai corsi di tennis, i club registrano boom di richieste, le famiglie guardano a questo sport come a un ambiente educativo, lontano dagli eccessi di divismo e polemiche che oggi soffocano il mondo del pallone. Sinner non è solo il numero uno del tennis mondiale: è il protagonista di una nuova storia sportiva e, speriamo, culturale italiana. Il calcio probabilmente resterà ancora il re indiscusso del tifo tricolore ma, in attesa del risveglio del pallone, rimaniamo incantati dalla pallina gialla e dal ragazzo dai capelli rossi che con la sua racchetta sta segnando il più grande dei match point: quello in favore dello sport come palestra di vita; quello che insegna che la battaglia più dura da vincere è sempre quella contro i propri limiti e che forza di volontà e sacrificio possono fare la differenza. Quello sport che può salvare e far crescere persone migliori, anche nei contesti più disagiati del nostro Paese. “Alè” Jannik!

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