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Il lavoro per i giovani non è tutto, gli adulti ne prendano atto

La questione giovanile in Italia presenta, almeno da un ventennio, aspetti di forte preoccupazione sia per i rapporti che gli adolescenti hanno con il proprio contesto familiare, sia per quelli, a volte sofferenti, con il mondo della scuola. Non solo, tra qualche anno dovranno scegliere se proseguire negli studi o provare ad accedere al mercato del lavoro.

Per quanto possa sembrare ovvio, i giovani non sono affatto un aggregato omogeneo: i livelli di istruzione e reddito dei genitori, il genere, il luogo di residenza hanno un peso decisivo nel percorso di studio e nelle scelte scolastiche e universitarie. Non solo, le diseguaglianze economiche e socio-culturali incidono in modo significativo nella costruzione della visione del mondo che genera decisioni e comportamenti.

Studi empirici dimostrano che l’atteggiamento dei giovani nei confronti del futuro, degli altri e del contesto che li circonda è correlato alle loro condizioni materiali di vita, oltre che alle caratteristiche socio-culturali di fondo. Come sostiene il sociologo De Lillo “l’atteggiamento con il quale si affronta la vita varia molto a seconda delle condizioni in cui ci si trova a viverla e degli strumenti che si hanno a disposizione per affrontarla”. La collocazione di un giovane in un determinato campo sociale può orientarlo verso atteggiamenti fatalistici o di autodeterminazione mostrando così il peso decisivo di una sindrome sociale e non di supposti tratti caratteriali o di personalità da attribuire ai singoli individui.

In Italia gli studenti che frequentano la scuola superiore sono 2.619.287, di cui 1.346.023 hanno scelto un liceo, 832.365 un istituto tecnico e 440.899 un istituto professionale. Tra i licei quello preferito è lo scientifico. La scelta della scuola superiore è influenzata spesso dai suggerimenti dei genitori e, più in generale, dal condizionamento familiare, quasi sempre tacito, dovuto alla posizione professionale, culturale ed economica dei componenti della famiglia. Altri fattori incidenti nel decidere a quale scuola superiore iscriversi sono l’interesse per alcune discipline e le chance che quel tipo di indirizzo scolastico offre per un lavoro futuro. Sembra invece poco influente l’indicazione degli insegnati del ciclo scolastico precedente.

Di recente, col Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Foggia ho condotto, con altri, una indagine su 322 studenti delle classi quarta e quinta delle suole medie superiori di tutta la provincia, a cui è stato somministrato un questionario anonimo. Il questionario prova a indagare le ragioni della scelta di quell’indirizzo scolastico, le motivazioni di una futura decisione di proseguire negli studi universitari o invece di affacciarsi al mercato del lavoro.

Alla domanda del questionario “Perché hai scelto questa scuola?” la risposta che ottiene più preferenze (indicata dal 32,2% dei rispondenti) è “Mi piacciono le materie che si studiano”. Una risposta che induce, in prima approssimazione, a ritenere che la scelta sia avvenuta in ragione delle proprie propensioni. Se però si confronta questo dato con quello rilevato dalle risposte alla domanda “Qual è l’attività che ti piace fare di più” si osserva che solo quattro studenti su 322 hanno indicato “Studiare una o più discipline del corso di studio”. Un gap del tutto evidente che, solo in parte, si può spiegare con le modalità di insegnamento scarsamente interessanti.

Probabilmente, gli studenti preferiscono trascorrere una parte consistente del loro tempo in quella forma di “socialità ristretta” che prevede relazioni con amici e amiche (il 45% delle risposte indica la preferenza a incontrare amiche/amici ), prediligendo una dimensione relazionale protettiva nella quale si sentono riconosciuti dal piccolo gruppo dei loro pari. E si può ipotizzare che sia anche un modo per tenere a distanza le interferenze e le pressioni familiari e scolastiche.

L’ingresso nel mondo del lavoro è per un giovane l’equivalente di un rito di passaggio: definisce quel mutamento che, dalla sua condizione precedente, quasi sempre di studente, conduce a quella di chi assume un ruolo in un’attività lavorativa retribuita. Si abbandona la dimensione adolescenziale per quella della adultità. Nel mondo occidentale contemporaneo è forse la transizione più simbolica, considerata l’eclissi di altri riti come il matrimonio o il fidanzamento, densa di aspettative e preoccupazioni.

Fino a qualche decennio fa, si entrava nel mondo del lavoro, e se ne usciva per andare in pensione, svolgendo prevalentemente una sola attività: che fosse quella di operaio, impiegato, professionista o imprenditore. Oggi si stima che un ventenne potrà cambiare, in media, dodici volte attività lavorativa durante la sua vita attiva.

Ma quale percezione hanno i giovani del loro futuro lavorativo? In maggioranza (quai il 60%, secondo un’indagine Ipsos) desidererebbe una maggiore stabilità e sicurezza lavorativa, con più prospettive di crescita professionale. Non solo, come ci informa il Cnel, emerge una netta insoddisfazione verso le politiche pubbliche del lavoro, la cultura imprenditoriale, la valorizzazione delle competenze, il riconoscimento del contributo dei lavoratori, le retribuzioni.

Il 57% dei giovani del campione Ipsos ritiene che non solo il lavoro sia radicalmente cambiato ma addirittura peggiorato. Un’aspettativa che stride con la maggiore attenzione che i giovani manifestano per le proprie esigenze sia di benessere che di una più elevata qualità della vita, chiedendo alle aziende tempi di lavoro più facilmente conciliabili con la vita privata. Cosicché il lavoro, per le ultime generazioni, perderebbe un suo specifico connotato quello di attribuire status e riconoscimento sociale e professionale. Ipsos stima che i giovani mettano il lavoro al quinto posto delle loro priorità: lo precederebbero la famiglia, l’amore, la cultura, l’istruzione e l’amicizia.

Insomma, per concludere il ragionamento, se la carriera lavorativa è al suo declino e il lavoro non può più essere considerato come l’unica condizione di cittadinanza, si aprono questioni e interrogativi che tutti noi adulti, appartenenti alle classi dirigenti di questo Paese, dovremmo prendere in seria considerazione.

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