SEZIONI
SEZIONI
Bari
Sfoglia il giornale di oggiAbbonati

Il lavoro non offre più certezze? Ecco le misure da adottare

Chi ha detto che il lavoro è una sicurezza? Chi ha detto che il fatto di percepire uno stipendio alla fine del mese è un’efficace forma di protezione? Chi ha detto che dipendenti o autonomi sono in grado di fronteggiare eventuali spese impreviste sulla base dei loro introiti mensili? Beh, chiunque l’abbia detto si sbaglia. E i dati dell’Istat, secondo i quali il 40% delle famiglie italiane non è in grado di affrontare una spesa non preventivata di 800 euro, lo dimostra e impone alla politica un’attenta riflessione.

Il fenomeno, per la verità, non riguarda soltanto l’Italia ma anche gli Stati Uniti. A quelle latitudini gran parte dei lavoratori non riesce a mettere da parte qualche spicciolo a fine mese. Il 62% degli adulti consuma integralmente il proprio stipendio per coprire le spese ordinarie e ciò capita al 48% di chi guadagna più di 100mila dollari l’anno e il 36 di chi ne incassa oltre 200mila. Il risultato? Anche per un imprevisto da 400 dollari molti americani sono costretti a indebitarsi, a rinunciare ad alcuni beni o servizi, a ricorrere ad aiuti esterni. Uno scenario, quest’ultimo, che l’economista Annamaria Lusardi ha sintetizzato con l’espressione “fragilità finanziaria”.

Negli Stati Uniti, ovviamente, la situazione è complicata dalla mancanza di protezioni universali, con la conseguenza che i costi di sanità, abitazione e istruzione assorbono una quota sempre crescente del reddito disponibile.

Se a tutto ciò si aggiungono contratti instabili, indebitamento diffuso, progressiva erosione dei salari reali e necessità di mantenere figli e magari anche genitori anziani, si comprende come la fragilità finanziaria sia grave e riguardi una quota sempre maggiore di lavoratori.

In Italia, soprattutto nel Mezzogiorno, accade esattamente la stessa cosa. Il lavoro, nella migliore delle ipotesi, si riduce a mero strumento di sopravvivenza perché utile a coprire i soli costi correnti. Negli altri casi, invece, il lavoro non basta a proteggere le famiglie e non consente di pianificare il futuro, cambiare occupazione o affrontare transizioni di qualsiasi tipo. Come sottolineato da Simone Cerlini, esperto di politiche attive del lavoro, i soggetti inclusi nel mercato occupazionale restano esposti a una lunga serie di imprevisti e quindi sono vulnerabili. E la fragilità finanziaria non è più un fenomeno temporaneo o marginale, ma una condizione ordinaria che riguarda la maggior parte della forza lavoro nel Paese e, in particolare, da Roma in giù. Anche perché la pressione fiscale colpisce soprattutto i lavoratori dipendenti con reddito superiore a 35mila euro: sono loro a sostenere quasi completamente il costo delle protezioni sociali e della spesa pubblica nazionale.

In questo contesto, il pericolo è duplice: da una parte si rischia di accrescere la quota di lavoratori in condizioni di fragilità finanziaria, dall’altra di alimentare il risentimento sociale nei confronti di chi, a differenza del ceto medio, vive in una situazione di sostanziale privilegio in virtù di maggiori introiti e tassazione ridotta.

Come se ne esce? Per aumentare i salari è indispensabile tagliare il cuneo fiscale contributivo e va aumentata la produttività delle piccole e medie imprese. Serve cambiare la specializzazione produttiva del Paese, superare le modeste dimensioni delle aziende che non consentono a queste ultime di competere con i colossi internazionali e adottare tecnologie più efficienti. Senza dimenticare la necessità di rinnovare i contratti collettivi scaduti e incentivare il ricorso a strumenti come il contratto di produttività, azzerando la tassazione sui premi. È un sentiero stretto, ma bisogna percorrerlo per evitare il dilagare della fragilità finanziaria soprattutto nel Sud.

ARGOMENTI

attualità
idee
lavoro
stipendio

CORRELATI

Bentornato,
accedi al tuo account

Registrati

Tutte le news di Puglia e Basilicata a portata di click!