Nella scuola che verrà si studierà nuovamente il latino alle medie. Perché tale ritorno al passato? Perché il latino non è soltanto una “lingua morta” ma una finestra su un modo di pensare.
Si tratta dell’impalcatura sulla quale la cultura occidentale si è andata formando ed è la lente attraverso la quale possiamo comprendere il mondo di oggi, quello in cui viviamo, quello con il quale parliamo. Senza latino non ci sarebbe l’italiano né il francese, lo spagnolo e il portoghese.
Senza latino non capiremmo il diritto, la filosofia, la scienza, la politica. Non capiremmo la nostra stessa storia. Ma il latino è anche un viaggio in un mondo che racconta passioni, desideri e sofferenze universali. Pensiamo a Ovidio che descrive l’esilio, la nostalgia, la perdita: non sono questi temi che i migranti oggi ci ripropongono? E Seneca, che insegna come trovare un senso per vivere la quotidianità, o Tacito, che fotografa le grandezze e le miserie del potere, non sono estremamente attuali? Inoltre tutti i giorni adottiamo modi di dire quali “verba volant, scripta manent”, “in vino veritas” o termini come “curriculum”, “gratis”, “lapsus” che sono mutuati testualmente dalla lingua di Cicerone.
In un tempo, il nostro, in cui tutto diventa veloce, impalpabile, liquido, il latino rappresenta una forma di resistenza all’appiattimento del pensiero e un ponte che collega epoche, idee, passioni. E allora perché studiare il latino? Forse è meglio chiederci, ma come abbiamo fatto ad accantonarlo?