Il languishing giovanile e la scuola della fiducia

Se solo avessimo il modo di fermarci e di osservare attentamente la realtà circostante e la società moderna, noteremmo che tutto corre troppo in fretta, come un audio alla velocità 2x. Siamo invasi e pervasi dall’essere sempre produttivi, competitivi, efficienti, allenatati a amplificare all’ennesima potenza le capacità di problem solving e multitasking. Se solo avessimo la forza e il coraggio di fermarci, riusciremmo a nutrirci delle piccole cose che alimentano il cuore e l’anima e nutrire la fantasia, le creatività e i sogni.
Bisogna essere sempre brillanti e sorridenti, senza tener conto del costo che ciò ha sulle vite di ogni individuo, sia in termini di tempo, l’unica moneta davvero infungibile, che di fatica. Il tutto si ripercuote sulla ricerca della propria vera identità che spesso si confonde con il lavoro svolto o con il ruolo che si ricopre, alienando le persone dalla specificità della natura che gli appartiene, rendendole semplici e piccole rotelle di un grande ingranaggio che non si comprende.

All’interno di questo ampio panorama disfunzionale, l’istituzione scolastica collude con le suddette dinamiche e scatena malcontento giovanile. Da colloqui con i ragazzi/e è emerso come gli studenti sperimentano molto più malessere che benessere nella propria esperienza scolastica. Molti sono preoccupati, tristi, scoraggiati; altri sono annoiati, demotivati, ansiosi e arrabbiati nei confronti di una istituzione scolastica che utilizza da 30 anni a questa parte le stesse dinamiche: la punizione o la pressione come strumenti per favorire l’impegno o la responsabilità individuale.

La mancanza di gestione del vissuto emotivo, guida gli adolescenti verso il bisogno di insegnanti che diano fiducia, che siano appassionati del loro lavoro. Desiderano imparare a vivere e sentono che né la scuola né la famiglia sono colonne portanti su cui poggiarsi, rassicurarsi per continuare il viaggio della vita. Hanno difficoltà a gestire l’ansia da prestazione, la paura del giudizio, il fallimento e hanno terrore del futuro. Molti si difendono in mille volti e in mille maschere, alcuni dietro la corazza del ribelle altri dentro la veste del giullare di corte per essere accettati anche solo dai pari.

La preoccupazione maggiore è che nello stato di smarrimento, di confusione e disorientamento spesso usano sostanze stupefacenti o alcool non per divertimento ma solo per “spegnere” la ruminazione del pensiero, dormire e sentirsi più rilassati. Le cause di questo disagio riguardano sia fattori cognitivi (l’ingozzamento informazionale), sia fattori emozionali (soprattutto ansia e noia), sia sociali (sfiducia nei modelli significativi di riferimento es genitori e/o insegnanti).

Detto più chiaramente: la scuola sembra chiedere loro di imparare troppo, in troppo poco tempo, con l’ansia di doverne rendere conto, la paura di non riuscire, la frustrazione in caso di fallimento e la convinzione di togliersi tempo di vita per dedicarlo a qualcosa che – così sperimentata – probabilmente non si ama e mai si amerà. Al contrario, la scuola dovrebbe incoraggiare e sostenere la motivazione intrinseca, che proviene da dentro, che continua a spingere in maniera costante passo dopo passo, non perché spinti da qualcosa, ma perché attratti da qualcosa. In questo cambio di paradigma, ecco allora che gli insegnanti non possono limitarsi a essere competenti “tesorieri” della didattica, ma devono essere “i copiloti” della motivazione dei ragazzi.

Don Milani ha ribaltato lo sguardo sull’educazione cambiando il soggetto: da “io mi prendo cura di te”, a “tu mi stai a cuore”. Il salto può sembrare poca cosa, invece è una questione di sostanza.

È importante che la scuola ne prenda consapevolezza e recuperi la coscienza del suo ruolo, cioè essere un’opportunità, una rampa di lancio per le potenzialità altrui. I nostri giovani hanno un gran bisogno di qualcuno che abbia fiducia in loro e che, al tempo stesso, gli ispiri fiducia. Qualcuno che rappresenti per loro “uno scoglio in mezzo al mare in tempesta”.

Trasmettere gioia e non ansia: questo l’imperativo categorico sottolineato anche dalla professoressa e psicologa Lucangeli.

«Quando proviamo gioia il nostro sistema nervoso dice al self: cerca ancora, ti fa bene. Cerca ancora, impara meglio, vai avanti. Se mentre studio provo ansia la mia memoria mette in traccia ciò che studio ma anche la mia emozione. E quando io torno a riprendere dal cassettino della memoria ciò che ho studiato, ne tiro fuori non soltanto le informazioni che ci ho messo ma anche le emozioni con cui l’ho tracciato. Se apprendo con paura, recupererò la paura. Se apprendo con disistima, recupererò la disistima. Questo ripetuto per anni nei quali il sistema educante può determinare inquinamento nei circuiti mentali, un vero e proprio corto circuito perché un’informazione ti dice ricorda e l’altra ti dice scappa. Non è efficace né efficiente un insegnamento basato sull’ansia».

L’Organizzazione mondiale della sanità ha comunicato recentemente una forte preoccupazione per il futuro in merito ai disturbi dell’umore, alla precocizzazione della depressione. Come fermare questa tendenza? Sostituendo a queste onde di fuga onde di emozioni che ci consentano di sentire l’altro come chi sta con noi e non come chi sta contro di noi.

Quando non ci sono disturbi conclamati e a volte gravi, resta il cosiddetto languishing, uno stato d’animo caratterizzato dall’assenza di gioia. Secondo anche Milton Erickson, ognuno di noi è molto più di ciò che pensa di essere, e sa molto di più di ciò che pensa di sapere. In conclusione, la scuola che vogliamo è uno spazio in cui le informazioni cadute a pioggia siano contestualizzate e ponderate, trasformate da rumori a suoni concreti e intrisi di coscienza.

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