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Il Governo delle ripetute metamorfosi

Le mirabolanti metamorfosi di questo governo avrebbero certamente attirato l’attenzione di scrittori come Lucio Apuleio e Franz Kafka: non ovviamente giovani curiosi mutati in asini d’oro o commessi viaggiatori trasformati in giganteschi insetti, ma ministri, programmi e obiettivi che hanno subito una radicale trasformazione rispetto alle promesse elettorali. La metamorfosi più evidente è quella del ministro Giorgetti: da sicuro assertore di attese svolte nella politica economica a prudente ragionier Filini.

Ridotto al ruolo antipatico di contabile dal braccino corto. L’elenco delle metamorfosi subite da questo governo sarebbe lungo e risparmiamo al paziente lettore la noia di seguirci in questo facile compito di individuare le differenze tra le fantastiche promesse di prima e la dura realtà del dopo.

Ci basta osservare che la manovra di bilancio in discussione in Parlamento più che realizzare le promesse populiste che hanno fatto la fortuna elettorale di Giorgia Meloni, si presenta come una ricetta di politica economica estremamente moderata, incastrata in vincoli di spesa stringenti.

La manovra costerà 24 miliardi di euro, solo un terzo (8 miliardi) coperto da entrate (ricorrendo al solito espediente dell’aumento di odiose accise, questa volta sui tabacchi) e riduzioni di spesa (la solita difficile e inattuabile spending review), il resto in deficit. La promessa della flat tax generalizzata (per il momento è applicata al 15% solo per i lavoratori autonomi e prorogata per altri 3 anni) e della semplificazione fiscale sono da tempo scomparse per far posto a una più modesta riduzione degli scaglioni Irpef, già delineata dal governo Draghi. Nel 2024 dovrebbero essere ridotti da quattro a tre, con l’accorpamento dei primi due scaglioni ad un’aliquota unica del 23% (fino a 28 mila euro, fino a 50.000 euro, 35% e oltre 50.000 euro, 43%) ampliando la no tax area fino a 8500 euro.

A questo si dovrebbe aggiungere il taglio del cuneo fiscale, tutti provvedimenti che, secondo la Cgia di Mestre, dovrebbero portare un vantaggio in busta paga di circa 120 euro al mese per le fasce più basse dei redditi di lavoro dipendente. Anche le promesse sulle facilitazioni per il pensionamento anticipato, cavallo di battaglia della Lega, si sono ristrette con il nuovo limite di Quota 104.

Qualche contributo, circa 1 miliardo di euro, viene riservato alle famiglie per combattere la crisi (forse catastrofe) demografica (decontribuzione per le donne lavoratrici con più di due figli e asili nido gratis) e 3 miliardi destinati alla sanità per sbloccare le liste di attesa, il segno più evidente di un servizio sanitario pubblico ormai al collasso. Ecco tutto. Una manovra timida che rimbocca solo l’orlo del barile e che lascia sullo sfondo gli interventi decisivi, sintomo che la compagine di governo non è compatta e che attende i prossimi risultati elettorali per definire meglio i rapporti di forza interni.

Il clima teso tra ministri si attenua, per compattarsi temporaneamente, solo individuando di volta in volta il nemico di turno. Un mese fa toccò all’africano invasore (spedito poi su ignote spiagge albanesi) e in questi giorni è toccato ai sindacati Cgil e Uil colpevoli di aver proclamato uno sciopero ingiustificato contro la manovra (che secondo il governo difende i lavoratori) e costretti, forse per la prima volta nella storia repubblicana, a ridurre, nel settore dei trasporti pubblici, le ore di agitazione, sotto la minaccia di sanzioni. Sullo sfondo restano irrisolti tutti i principali nodi dell’economia italiana: dalla questione salariale (con la bocciatura delle proposte sul salario minimo) alla necessaria riforma della sanità e della scuola, alla politica dei redditi per il controllo dell’inflazione (imputabile soprattutto all’aumento dei margini di profitto), alla riduzione degli investimenti e dei consumi (rispettivamente diminuiti di -1,7% e -2,3 % nel secondo trimestre dell’anno), al preoccupante dato della riduzione delle esportazioni (-0,6%), alla stagnazione annunciata (variazione tendenziale per il 2024 del Pil ferma al 0,3%, al netto degli effetti non ancora definibili del nuovo conflitto in Medio Oriente). Quante mirabolanti metamorfosi ci mostrerà ancora questo governo che ha come unico scopo il potere, mentre i gravi problemi di questo nostro paese restano irrisolti?

Rosario Patalano – economista

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