Il dovere di essere differenti

Il 23 aprile 1992 comincia ad essere una data lontana, e il tempo che passa ci impone il dovere della memoria. Frase fatta e ripetuta che però va sempre bene e che ha una sua profondità.

Di Falcone e Morvillo, del loro sacrificio, dei pugliesi che lo hanno condiviso e di cui non scorderemo mai i nomi, ovvero Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, insieme a Vito Schifani, e poi agli altri quattro agenti sopravvissuti all’”attentatuni” e alla Storia, ovvero Giuseppe Costanza, Paolo Capuzza, Angelo Corbo e Gaspare Cervello, non bisogna mai scordare i volti.

Ovvero non bisogna mai dimenticare la fierezza che appartiene alla gente perbene, a chi crede nella forza del diritto e opera per noi gente comune e per la nostra giustizia, l’unica giustizia. Non bisogna mai dimenticare le loro famiglie martoriate e distrutte, ricostruite sul sangue ingiusto dei loro cari.

La gente che ha portato morte a Capaci è ancora tra noi. Vive e ci gira intorno: i mafiosi di quel tempo hanno fatto scuola, tra l’altro a molti pugliesi, e hanno proliferato senza tante stragi, dicendoci che il confine tra mafia e non mafia è una cosa piccola e senza importanza. In molti ci hanno creduto, in molti restiamo a combatterlo questo pensiero. Lo diciamo con forza e con la fierezza dei martiri. Con l’orgoglio di essere diversi e di esserci ancora. I mafiosi di quei giorni sono ancora vivi, sono tra noi che ci siamo dimenticati. In piedi costruttori di giustizia!

Oggi a Bari, neanche a farlo apposta, sosta presso la Chiesa del Redentore la reliquia del giudice Rosario Livatino: la camicia insozzata di sangue di quel giorno di settembre in cui fu ammazzato il giudice ragazzino, pochi mesi prima di Falcone.

Un tempo le reliquie erano pezzi un po’ macabri di santi, distribuiti a fini taumaturgici. Oggi le reliquie sono le camicie sopravvissute alla mafia e al sangue sparso per lo Stato. Quasi a sancire che lo Stato è sacro e che la morte per la civiltà è una morte che impone sacralità, quella che nella mafia non dimenticano mai ma rimane attaccata a santini e pizzini, a battesimi e a pseudoappartenenze religiose incapaci di fremiti di profezia.

Noi, invece, siamo il Sacro e siamo la Giustizia. Loro non sono niente.

Francesco Minervini è docente e scrittore

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