Il tema del rapporto tra libertà e sicurezza, dominante ormai da un biennio dopo l’avvento del-la pandemia da Covid-19, è tornato a riproporsi all’attualità del dibattito politico-istituzionale e scien-tifico con lo scoppio del terribile conflitto russo-ucraino. Ma una risposta adeguata all’interrogativo ultimo se la sicurezza sia presupposto della libertà o se, invece, non possa esservi sicurezza senza li-bertà deve necessariamente spingersi, oggi, oltre l’originale prospettiva contenuta nel Leviatano di Thomas Hobbes, per giungere a definire con riferimento al tempo presente i termini della relazione tra i fini e compiti dello Stato (inclusa la sicurezza) e i diritti costituzionali fondamentali.
Del resto, le considerazioni che muovono, classicamente, dalla natura liberale della Carta re-pubblicana del ’48, dal valore primario della libertà individuale e dalla stessa organizzazione democra-tica e pluralista dello Stato (art. 1 ss. Cost.), sembrano scemare di consistenza di fronte a oltre due anni di normazione emergenziale del Governo che ha statuito contrazioni rilevanti nell’esercizio di di-ritti e libertà fondamentali. L’obiettivo -pur legittimo- di assicurare il più alto livello di sicurezza sani-taria è stato perseguito dall’Esecutivo, tuttavia, in modo sbilanciato a favore esclusivamente del ri-corso a misure mirate a prevenire la diffusione ulteriore del contagio, soprattutto attraverso una cam-pagna vaccinale incoraggiata e perseguita con la previsione di sanzioni reali per chi decideva di non sottostare al trattamento vaccinale, fino a giungere alla sospensione dal lavoro e dal trattamento eco-nomico corrispettivo dei resilienti.
Sono tratti ormai ben noti di un’esperienza ancora attuale e che, per questo, forse è inutile rie-vocare. Il richiamo, qui, è per segnalare come sul piano costituzionale tale esperienza abbia finito per delinearsi secondo la fisionomia reale dello “stato di prevenzione”, inteso quale pericolosa trasfigura-zione dello stato costituzionale di diritto, in cui rileva una massimizzazione della tutela della sicurez-za, a tutto scapito dei diritti di libertà. Lo stato di prevenzione, di cui è propria una certa inclinazione del potere governativo a gestire l’emergenza senza la mediazione del confronto democratico, preco-nizza l’avvento di un autoritarismo politico che mina nelle fondamenta la struttura dello Stato di de-mocrazia rappresentativa. L’esperienza e la storia (fine della Costituzione di Weimar del 1919) evi-denziano come, in molti casi, l’indulgenza verso la tutela della sicurezza (democratica, politica, etc.) sia valsa nell’effetto a stabilizzare l’approccio autoritario conducendo, in fine, ad una trasformazione dell’ordine costituzionale ed alla creazione di una nuova “normalità” ordinamentale in cui la garanzia delle libertà costituzionali risulta dissolta.
Per scongiurare un tale rischio d’involuzione dello Stato costituzionale democratico occorre dunque mantenere per quanto possibile un ragionevole equilibrio tra sicurezza e libertà, anche in con-dizioni estreme come quelle di un’emergenza sanitaria. Sul piano giuridico-istituzionale spetta ai mec-canismi di garanzia specifici dello stato di diritto di assicurare il costante equilibrio di sicurezza e li-bertà, in particolare attraverso l’efficienza di una magistratura indipendente e del Tribunale costitu-zionale. Tuttavia è soprattutto a livello politico che un tale equilibrio va perseguito anche con azioni adeguate, finalizzate ad un ragionevole contemperamento tra fini generali e interessi individuali, dota-ti di copertura costituzionale. A livello internazionale, poi, la tutela della sicurezza in condizioni di libertà richiede un impegno costante della politica per uno sviluppo della cooperazione -economica, politica, culturale etc.- tra Stati, con l’obiettivo di consolidarne le interdipendenze e lasciar maturare una cultura globale della pace. Non basta, a tal fine, il formale ripudio della guerra quale strumento di aggressione alla libertà dei popoli, pur sancito nella Legge fondamentale (art.11 Cost.), ad esso deve accompagnarsi da parte della classe governante un impegno fattivo a porre in essere strategie di colla-borazione, lasciando maturare la consapevolezza che in tal modo può realizzarsi effettivamente la crescita e lo sviluppo del benessere sociale globale. Tra le opzioni della politica per realizzare la sicurezza, quella militare resta insomma la più estrema e la meno auspicabile in assoluto. Non l’invio di armi o la creazione di spirali di odio e paura sono mezzi idonei a incoraggiare una consapevolezza di pace ma dignità umana, libertà, solidarietà, diritti fondamentali sono i presidi su cui può costruirsi un futuro stabile di pace e benessere sociale. Anche in questo senso, basterebbe alla politica di governo di dare piena attuazione alle ispirazioni della Carta costituzionale.
Vincenzo BaldiniDocente ordinario di Diritto costituzionale