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Il deserto elettorale certifica il fallimento delle Regioni

Elezioni regionali e percentuali dei votanti: Valle D’Aosta 45,7%; Marche: 50,2%; Calabria: 43%; Toscana 47%. Per le prossime in Campania e Veneto non si prevedono partecipazioni oceaniche. Il dato elettorale negativo, la scarsissima attenzione dei cittadini elettori ed ancora più grave la totale mancanza di conoscenza di questo ente nelle nuove generazioni, sollecita quel poco che resta della classe dirigente nazionale ad una doverosa riflessione.

La Regione, questo ente che per Fiorentino Sullo, il più giovane costituente della Repubblica italiana, doveva essere il luogo della crescita di quella classe dirigente capace di elevare le comunità schiacciate dallo strapotere del notabilato locale e dall’arroganza del potere centrale. Il Regionalismo sturziano le immaginava come il luogo istituzionale dove il principio di sussidiarietà, la crescita delle realtà locali e la risposta ai bisogni dei territori.

Un Ente che importanti politici come Nenni, Togliatti, Saragat, guardavano con diffidenza e con serie preoccupazioni. Nel 1970, anno del loro debutto nel sistema istituzionale italiani, il leader del Movimento sociale, Giorgio Almirante, nei suoi interventi parlamentari diceva: «Saranno carrozzoni clientelari di corruzione e di potere». Giovanni Malagodi: «L’errore fatale delle Regioni». Il leader liberale cosi sulle Regioni, siamo nel 1962: «Oggi le quattro regioni a statuto speciale spendono 135 miliardi, cioè il doppio di quello che spendevano 5 anni fa, e cinque anni fa spendevano tre volte tanto quello che spendevano all’inizio. La regione siciliana, per esempio, rende straordinariamente ai membri dei consigli di amministrazione dei 265 enti autonomi, che sono stati creati per poter fare tutto quello che si vuole al di fuori di qualsiasi controllo».

In questi decenni la spesa totale cha raggiunto limiti insostenibili, determinando una spesa sempre di più fuori controllo senza una resa in termini di servizi nonostante le bugie degli obblighi di rientro e dei Commissari ad acta come per la sanità.

«Sono cose che costeranno nuove tasse e nuovi debiti – ammoniva Malagodi – che sono economicamente dannose e socialmente inutili; sono cose che servono soltanto per iniziare la liquidazione dell’economica di mercato». Possibile che di fronte a tutti questi segnali, siamo andati avanti come treni lungo i binari che portano al disastro.

A sancire il fallimento definito delle Regioni è il Pnrr la più grande bolla della storia repubblicana. Nessuna visione strategica, nessuna idea di futuro dei prossimi venti anni. Solo la spesa per la spesa e l’arrogante gestione dei “califfi” con tanto di ambasciate all’estero ed una pletora voracissima di “clientes”. La drammatica verità è che le forze politiche definiscono a tavolino la loro area di influenza regionale per tenere in vita il sistema partitocratico sempre di più in piena torsione sociale e lontano dalle legittime attese della gente. La crisi idrica, la devastante povertà della sanità nella resa di servizi sempre di più fuori dalla portate delle fasce più deboli della popolazione italiana. Una sanità, ormai prede di voraci squali privati. Occorre una seria e doverosa azione dal basso per cambiare le cose. Sanità, scuola, energia, formazione, sono materie da riportare dentro il perimetro nazionale. Una riforma delle nostre istituzioni di ogni ordine e grado si rende necessaria, irrinunciabile e non più rinviabile. Ripensare Roberto Ruffili e ripartire da una Costituente come luogo alto per costruire un nuovo assetto di respiro europeo.

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