Al governo Meloni non difetta il coraggio. L’ha dimostrato a proposito della tassa sugli extraprofitti, facendo propria una proposta del Movimento Cinque Stelle, e sul salario minimo, aprendo al confronto con i partiti di opposizione che hanno condiviso un ddl. Ora, però, lo stesso coraggio Palazzo Chigi deve sfoderarlo per gli immigrati, soprattutto alla luce del monito lanciato dal presidente della Repubblica e del bisogno di manodopera manifestato da migliaia di aziende.
A Rimini Sergio Mattarella è stato chiaro: solo «ingressi regolari, sostenibili, ma in numero adeguatamente ampio» possono «stroncare il crudele traffico di esseri umani». Il capo dello Stato sa che per i migranti sono indispensabili «un impegno finalmente concreto e costante dell’Unione europea» e il sostegno «ai Paesi di origine dei flussi». Di fatto, però, parlando di «numero adeguatamente ampio», Mattarella chiede al governo Meloni un aumento degli ingressi legali di extracomunitari nel nostro Paese.
Il monito del presidente della Repubblica coincide con le esigenze di migliaia di aziende, soprattutto nel settore agricolo e nel Mezzogiorno, da tempo alle prese con una cronica carenza di manodopera. In Puglia, per esempio, in sei anni sono stati persi circa 30mila operai agricoli: un grosso problema in vista della raccolta delle mele e della vendemmia. In questo contesto, il contributo offerto dagli stranieri è decisivo: un prodotto agricolo su quattro è raccolto da braccianti non italiani, senza dimenticare che nei campi e nelle stalle pugliesi sono impegnati più di 36mila persone provenienti da Romania, Albania, Marocco, Senegal, Bulgaria, Polonia e Nigeria. A livello nazionale, invece, servono tra gli 80 e i 100mila lavoratori, come Massimiliano Giansanti, presidente nazionale di Confagricoltura, ha chiarito ieri a “Il Messaggero”.
Messi insieme, il monito di Mattarella e le esigenze delle imprese impongono al governo Meloni una strategia: allargare ulteriormente le maglie del decreto flussi. Ma come dovrebbe avvenire tutto ciò? Si potrebbe prevedere un sistema in cui il singolo imprenditore presenta una richiesta di manodopera e la Prefettura di riferimento fa una stima, sulla base delle istanze provenienti da tutto il territorio di competenza e dal resto d’Italia, così da calcolare l’esatto fabbisogno di personale. Importante sarebbe coinvolgere i Paesi di origine – a cominciare da India, Sri Lanka e Stati nordafricani – nella formazione dei lavoratori, in modo tale da favorire l’afflusso di manodopera qualificata.
Soprattutto, però, è indispensabile superare il meccanismo del click-day che non tiene conto delle concrete esigenze delle imprese e spesso finisce per lasciare senza manodopera vaste aree dove invece c’è necessità. Proprio per rimediare alle storture di questo meccanismo, nelle scorse settimane, il Governo si è visto costretto ad aggiungere 40mila posti in ingresso a quelli inizialmente previsti.
La ricetta è semplice, dunque: numeri più ampi, con procedure di ingresso dedicate e snelle, consentendo così alle imprese di reclutare il personale per affrontare appuntamenti come la raccolta dell’uva, in autunno, e l’avvio di numerosi cantieri del Pnrr, nel 2024. Ecco perché il governo Meloni deve tirare fuori il coraggio: anziché paventare il rischio di una fantomatica «sostituzione etnica», come il ministro Lollobrigida ha improvvidamente fatto qualche mese fa, dimostri di aver capito che i migranti possono essere un’opportunità per l’economia e non solo una perenne emergenza.
Raffaele Tovino è dg di Anap
Bentornato,
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