La medicina generale e di prossimità in Italia è in crisi, da molti anni oppressa dalla crescente scarsità di medici sul territorio e dal ricambio generazionale, nel quale i giovani sembrano non credere molto.
La medicina territoriale è il primo livello di contatto tra il cittadino e il sistema sanitario, è tra i settori più battuti dalla carenza di personale. Secondo i dati dell’Agenas, mancano già oggi circa 4mila medici di medicina generale (mmg), una cifra destinata ad aumentare drammaticamente con i pensionamenti previsti nei prossimi cinque anni. Entro il 2027, infatti, circa 35mila medici lasceranno il servizio attivo, una prospettiva che mette a rischio la capacità del sistema di garantire cure di base adeguate.
Questa crisi ha un impatto diretto sulla vita dei cittadini, soprattutto nelle aree rurali e periferiche, dove l’assenza di medici di base costringe le persone a rivolgersi ai pronto soccorso per problematiche gestibili sul territorio. Il fenomeno non solo aumenta il sovraffollamento delle strutture ospedaliere, ma comporta anche un peggioramento della qualità delle cure per i casi di vera emergenza. Inoltre, la mancanza di continuità assistenziale – garantita tipicamente dal rapporto di lungo termine con il medico di base – si traduce in un aumento delle malattie croniche mal gestite e dei ricoveri evitabili.
Bisognerebbe prevedere sconti fiscali per i medici che scelgono di lavorare in zone periferiche, così da contribuire a ridurre le disuguaglianze territoriali e favorire un rafforzamento delle infrastrutture sanitarie locali, in modo da rendere sostenibile il lavoro in queste aree.
La pandemia da Covid ha confermato il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento conseguente delle cronicità ha reso ancora più evidente l’importanza del ruolo dei medici di medicina generale come anello di congiunzione tra territorio e ospedale. Bisognerebbe, da subito, mettere a sistema tutta la rete degli attori presenti sul territorio (medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, psicologi di cure primarie, infermieri di famiglia e di comunità, assistenti sociali, case di comunità, ambulatori ecc.) per rispondere ai bisogni di salute dei cittadini. Tutti questi soggetti insieme devono concorrere a sviluppare servizi di prossimità efficaci e tempestivi, dando così attuazione al decreto ministeriale 77/2022, in una nuova integrazione virtuosa tra assistenza sanitaria, servizi socio-sanitari e assistenza domiciliare. Occorrerebbe potenziare i distretti sanitari e migliorare le condizioni di lavoro dei medici di base per rendere il ruolo più attrattivo. Questo include un migliore equilibrio tra lavoro clinico e amministrativo, con una riduzione degli oneri burocratici.
Il Covid, in più, ha reso evidente e urgente sia la necessità, di riformare la normativa in materia di formazione del personale del Servizio sanitario nazionale (Ssn), anche al fine di raccogliere le sfide derivanti dalla profonda trasformazione della sanità prevista nell’ambito delle riforme legate al Pnrr. Occorrerebbe iniziare dalla formazione medica dei medici di medicina generale, prevedendo la specializzazione anche in medicina generale e adeguando la formazione del medico di medicina generale ai nuovi compiti che gli si attribuiscono. Una formazione che tenga conto anche del territorio in cui opera il medico di famiglia.
Davanti a questo quadro a tinte fosche occorrono progetti innovativi che delineano una nuova prospettiva. Il declino del Ssn non è irreversibile. Il secondo pilastro – l’assistenza cosiddetta “integrativa” dei fondi e delle assicurazioni – non è la soluzione. Servono scelte coerenti con quanto prevede la Costituzione. La telemedicina e gli strumenti digitali possono rappresentare una soluzione per alleviare il carico di lavoro dei medici, soprattutto nelle aree remote. Tuttavia, tali innovazioni devono essere accompagnate da investimenti in infrastrutture e formazione specifica per il personale sanitario.
Il Ssn deve poter contare su risorse adeguate, per garantire il diritto “incomprimibile” alla salute, ridurre gli enormi divari rispetto ai principali paesi europei e colmare quelli al suo interno, ridare fiducia (e risposte) alla popolazione. Il Ssn deve recuperare capacità di programmazione, indirizzo e controllo a tutti i livelli di governo e potenziare la produzione e l’erogazione diretta di servizi e percorsi di cura da parte delle strutture pubbliche, riducendo progressivamente il ricorso a erogatori privati. Le risorse devono essere destinate agli ambiti prioritari di intervento, in primo luogo al personale del Ssn di tutti i livelli, da quello dipendente a quello dell’area convenzionata, alla prevenzione, alle cure primarie e alla domiciliarità in particolare per le persone non autosufficienti e con disabilità.
È necessaria una solida riorganizzazione delle cure primarie, articolata per Distretti sociosanitari, per un’assistenza di prossimità, contro l’epidemia di cronicità, che si prenda effettivamente cura delle persone in modo integrato e proattivo. Le case di comunità potranno funzionare solo se si realizzerà una vera inversione di rotta nelle politiche contrattuali per la medicina generale. L’attuazione della riforma dell’assistenza per le persone non autosufficienti non può essere ulteriormente rinviata: adeguare il finanziamento del Fondo per la non autosufficienza, garantire il governo pubblico di tutti gli interventi, dare effettiva priorità alla domiciliarità. La visione One Health deve permeare la sanità in tutte le politiche, per contrastare i determinanti sociali e commerciali della salute; potenziare la tutela della salute nei luoghi di vita e di lavoro; attivare azioni mirate ai rischi ambientali legati all’inquinamento e ai cambiamenti climatici.
La sentenza della Corte costituzionale 192 del novembre 2024 sull’autonomia differenziata ha svuotato la legge Calderoli. I Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) devono essere adeguatamente finanziati a garanzia dei diritti fondamentali in tutto il territorio nazionale. Dopo la sentenza 192/2024 è fondamentale il ruolo del Parlamento, dei cittadini e delle associazioni dei medici per la garanzia del diritto alla salute nel nostro Paese.
Ludovico Abbaticchio è presidente nazionale dello Smi