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Il cambio di passo che serve alle politiche del lavoro

I pur positivi dati relativi all’andamento dell’occupazione non dovrebbero indurre la politica di casa nostra ad adagiarsi sugli allori. Anche perché le incertezze dello scenario economico e la ridotta fiducia di imprese e consumatori nel futuro lasciano prevedere, dopo una lunga serie di incrementi, un calo del numero dei lavoratori. E allora sarebbe il caso di riflettere sulle politiche attive del lavoro che, nonostante gli investimenti effettuati nell’ambito del Pnrr e i (finora) modesti risultati ottenuti attraverso il programma Gol, necessitano di una messa a punto.

Partiamo, come sempre, dai dati. Nel primo trimestre del 2025 il pil nazionale è aumentato dello 0,3%, dunque più dello 0,1 della Francia e dello 0,2 della Germania, ma comunque meno dello 0,6 della Spagna. Nonostante questa modesta performance, l’occupazione è cresciuta di poco meno di un punto rispetto all’ultimo trimestre del 2024, per un equivalente di 224mila persone. La statistica che merita una riflessione, però, è data da quei 16mila occupati in meno che sono stati registrati nel solo mese di marzo, soprattutto tra donne, under 35, lavoratori autonomi e dipendenti a tempo determinato. Se si pensa ai dazi americani, alla prevista decelerazione dell’economia a livello mondiale e alla ridotta fiducia di imprese e consumatori, è lecito attendersi un ulteriore calo degli occupati.

E allora bisogna fermarsi e analizzare il programma Gol, cioè la principale iniziativa italiana e il maggior investimento effettuato nell’ambito del Pnrr per il rilancio delle politiche attive del lavoro. Nell’ambito di quella strategia, solo il 51,7% degli individui presi in carico ha effettivamente avviato una politica attiva, solo il 18,8 ha partecipato ad attività formative e solo il 10,5 ha svolto un tirocinio: un po’ poco se si pensa che il Pnrr destina 5,4 miliardi alle misure capaci di avvicinare le persone, a cominciare da giovani e donne, al mercato del lavoro.

Il programma Gol si è dimostrato eccessivamente rigido nel disegno e nella governance, oltre che tendente a suddividere gli utenti in percorsi predefiniti e incapace tanto di gestire l’utenza quanto di coinvolgere i privati. C’è da dire, però, che lo stesso programma Gol sconta i limiti strutturali del sistema delle politiche attive del lavoro. In questa sede ne citeremo soltanto qualcuno: l’Anpal non è mai decollata ed è ulteriormente rallentata da commissariamenti e carenze di personale; i centri per l’impiego nelle regioni meridionali registrano gravi carenze infrastrutturali e organizzative che non fanno altro che accrescere le disparità con le regioni del Nord; gli stessi centri per l’impiego soffrono di una cronica carenza di dipendenti qualificati, strumenti tecnologici adeguati e procedure snelle, il che si traduce in una ridotta capacità di accompagnare i lavoratori verso opportunità concrete; i percorsi formatici non sempre sono allineati con le esigenze delle imprese che ricercano personale.

E allora serve un cambio di passo. Che cosa significa in concreto? Risolvere il problematico rapporto tra Ministero del Lavoro e Regioni, soprattutto per quanto riguarda la governance delle politiche attive; implementare la piattaforma Siisl; sburocratizzare e rendere più agevole l’accesso a certe pratiche; coinvolgere direttamente le imprese nella definizione e nell’attuazione dei programmi, prevedendo interventi in linea con le esigenze specifiche dei settori economici più maturi e con le vocazioni dei singoli territori. Insomma, c’è ancora tanto – se non tantissimo – da fare. E va fatto presto. A meno che non ci si voglia far cogliere impreparati dalle prevedibili fluttuazioni dei mercati e del mondo del lavoro.

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