Era nata in Europa la prima Comunità degli Stati Europei con l’ambizione di portare all’integrazione e quindi all’unità politica, economica, sociale, il vecchio continente forte di una sua identità culturale che lo contraddistingueva insieme alla sua civiltà derivata direttamente da Roma e dalla Grecia intelligentemente filtrata dal cristianesimo che quell’unità aveva lasciato sedimentare per l’opera del monachesimo che in ogni parte aveva disseminato cultura, fede e sviluppo in un crescendo che non aveva mai conosciuto soste nemmeno nei secoli che correvano verso il compimento del millennio apocalittico atteso come la fine del mondo in vista del ritorno in terra del Cristo per il Giudizio Universale.
Nulla sembrava impossibile all’alba della nuova umanità decisa a percorrere la strada della solidarietà e della compassione fino a creare un mondo senza limiti, confini e barriere dove la fame sarebbe stata bandita insieme alla violenza, alla povertà, all’ignoranza, alla malattia, all’intolleranza.
Ancora alla vigilia dell’ultimo quarto di secolo, il novecento sembrava correre con impeto rivoluzionario e sacro furore verso il secolo ventunesimo. Raduni oceanici celebravano questa speranza del mondo e nel mondo.
L’alleanza tra lavoratori e intellettuali era la piattaforma su cui l’umanità cercava il riscatto e la liberazione, allargando progressivamente gli spazi di partecipazione. Il miraggio di una società priva di classi contrapposte, coesa e capace di solidarietà sembrava essere lì pronto a concretizzarsi. La società civile, come prese ad essere definito il nuovo mix delle variegate realtà sociali occidentali che si proponevano come modello al mondo e come prospettiva ai popoli ancora prigionieri di dittature, marciava compatta verso la conquista di nuove libertà che negassero definitivamente tutte le schiavitù materiali e spirituali cui l’Umanità aveva dovuto sottostare nella sua storia antica e recente. Lo sviluppo economico correva a grandi falcate. Popoli e nazioni sin lì escluse venivano coinvolte sempre di più. I consumi crescevano ed il benessere, anche, con la diffusione della civiltà industriale.
Quelli che da ragazzi avevano raggiunto i lontani luoghi di raduni in autostop o con mezzi di fortuna, avevano preso a viaggiare in auto, in treno ed in aereo. Ma poi, passo dopo passo, avevano finito per sposare il benessere fatto di consumismo senza limiti e misura e avevano preso a difendere il loro piccoli o grandi privilegi come una conquista irrinunciabile. E presero a guardare con diffidenza quanti erano rimasti indietro.
Il ricordo del nazismo, del fascismo, dei campi di concentramento prese a sbiadire, affidato a qualche riquadro nei nuovi libri di storia ed ai racconti di superstiti sempre più radi. Nel contempo il Capitalismo che nella guerra contro il nazi-fascismo aveva mostrato il suo volto migliore venne sopraffatto dall’arroganza della speculazione e dall’aggressività della finanza che puntava a rastrellare ricchezza ed a diffondere povertà. L’Iper capitalismo, metastasi degenerativa del capitalismo di Smith, e di Ricardo, che qualcuno aveva ironicamente o speranzosamente denominato turbo capitalismo, aveva vinto su tutta la linea.
Regalò il sogno del benessere e rese gli uomini schiavi del consumismo, trasformandoli in suoi complici e cancellando le culture dei popoli in favore di un conformismo dilagante ed uniforme che avrebbe invaso in tempi rapidi l’intero pianeta senza distinzione di popoli e nazioni e instillando nei suoi adepti la paura di perdere i propri privilegi fino a farli schierare contro coloro che tentavano di forzare i muri per trovare riparo dalla fame, dalle guerre, dalle violenze, dalle malattie. I migranti erano divenuti i nuovi nemici del mondo più o meno ricco. L’Iper capitalismo aveva compiuto il suo capolavoro. Aveva trasformato in complici quanti in passato avevano lottato contro ogni discriminazione con l’assurdo contrappasso di renderli poveri, anch’essi.
L’ultimo quarto del secolo ventesimo vide così il trionfo di un internazionalismo del denaro che nulla aveva a che vedere con quello in cui gli uomini avevano creduto prima della loro conversione. L’internazionalismo iper capitalistica figlio della speculazione finanziaria, della concentrazione del potere e della manipolazione di popoli e individui aveva compiuto anche un altro miracolo annullando le barriere ideologiche e di regime politico in favore di un gotha espresso da oligarchi e magnati senza patria e ideologia espressione del vertice della piramide economica e sociale, che controllava il mondo. Avvenne così che il secolo ventesimo dopo aver sancito il trionfo dell’iper capitalismo esondò nel ventunesimo secolo.
Sono nate le nuove barriere costruite nella testa della gente questa volta, prima che ai confini degli Stati. Esse hanno azzerato ogni anelito e prospettiva di umanesimo e rinascimento spingendo il mondo verso la prospettiva di un pericolo di disfacimento inarrestabile.
Il villaggio globale è divenuto un violento caravanserraglio. La solidarietà e la coesione è stata barattata con un patto sociale che include quanti sono disposti a vivere ai margini del potere iper capitalistico beneficiando dello sgocciolamento che il sovraccarico di ricchezza lascia qua e là traboccare in termini di sussidi ed elemosine e regalie più o meno camuffate. Da questo patto fortunatamente sono rimasti tagliati fuori quanti erano rimasti esclusi per una questione storica o geografica e quanti vi si erano sottratti per una precisa scelta culturale. A costoro è affidato oggi il compito difficile di mantenere accesa la scintilla per la sopravvivenza dell’Umanità e magari superare l’inaridimento delle fonti creative dell’Umanità tutta intera.
Il primo quarto del ventunesimo secolo è così scivolato senza lasciare traccia di sé, perso nel degrado della vita culturale, nella affermazione del nuovo credo esistenziale legato al desiderio ed alla possibilità di consumare che ha elevato il mercato speculativo a nuovo Leviatano, assumendo la spirale produttiva quale religione, le borse e le loro quotazioni come luoghi e rituali rispettivamente del sacrificio e del premio o della condanna finale.
Per il resto la letteratura langue sopraffatta da mix ruffiani che blandiscono e tranquillizzano la nuova umanità privata della stessa sua lingua e della capacità di intendere e usare il logos come strumento di comunicazione oltre che di creazione sulla scia dell’esempio divino. L’arte muore sopraffatta anch’essa da un mercato esibizionista preoccupato di mostrare la sua potenza piuttosto che di capire, esaltare e spingere la pulsione creativa.
La stessa scienza sembra sempre più costretta in enclave esclusive, essendo affidato alla tecnica ed ai suoi miracoli l’effetto fideistico che tranquillizza e deresponsabilizza l’umanità ignorante. Nel ventesimo secolo il primo quarto fu un crogiolo di arte, fantasia e creatività in ogni campo.
Il primo quarto del ventunesimo secolo ahimè è rimasto, dal canto suo, fermo al palo, tuttora paralizzato dal trionfo dell’iper capitalismo che, nell’ultimo quarto del secolo ventesimo, aveva compiuto la sua opera negando promesse e aspirazioni dell’Umanità emerse con la fine della guerra nazi-fascista. Così oggi non resta che attendere per capire se il groviglio di aberrazioni e di sconfitte che ha nuovamente avvolto l’Umanità lascerà sedimentare nelle coscienze un nuovo bisogno di liberazione. La risposta non può che venire da quanti credono ancora nella memoria della civiltà e nella cultura in essa sedimentata.
Insomma la speranza di questo secolo sembra affidata a visionari e outsider che, come gli antichi profeti, avendo il doloroso privilegio di vedere la deriva distruttiva che mina la società e ne allontana il destino da quello del Pianeta, fanno leva sulla sensibilità propria ed altrui per liberare il tempo presente dall’ipoteca del consumismo e dal ricatto del mercato mostrando all’Umanità il baratro in cui è sprofondata ed, evocando, magari, anche la forza e la volontà di venirne fuori abbattendo finalmente, come gli Ebrei nel deserto, il vitello d’oro scambiato per Dio onnipotente.
Bentornato,
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