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I test Invalsi garantiscono maggiore omogeneità territoriale

La cultura dell’autonomia territoriale affonda le sue radici a partire dal Risorgimento, periodo durante il quale non mancarono ferventi sostenitori dello Stato unitario federale. Il presidente del Consiglio dei ministri dell’epoca, Camillo Benso conte di Cavour, pur essendo fautore di uno Stato unitario, riconosceva la necessità di differenziare risorse territoriali esistenti nel Paese.

Il dibattito sul regionalismo riprese poi vigore nel primo dopoguerra, soprattutto con don Luigi Sturzo che vedeva nelle Regioni l’elemento fondante per ricostruire lo Stato su basi democratiche e, con l’emanazione della Costituzione, la Repubblica consolidò la sua tradizione comunale, provinciale e aggiunse al proprio carattere di Stato unitario quello di Stato regionale.

La sola previsione costituzionale, però, non consentì alle Regioni di funzionare come enti autonomi fino agli anni ’70. In quegli anni il Governo emanò dei decreti aventi valore di legge ordinaria per regolare il passaggio alle Regioni delle funzioni previste dall’art. 117 della Costituzione. Da quel momento in poi iniziò un processo di decentramento. Un processo che è maturato attraverso tre tappe: la prima nel 1972, la seconda nel 1977, e la terza, tra il 1997 e il 1999, che portò alla Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 che di fatto ha avviato un processo decentrativo che è ancora in atto. Di fatto, tale processo ha acuito una competizione tra territori e sistemi pubblici che crea sempre più diseguaglianze tra Nord e Sud.

Su tale situazione sta dibattendo un movimento culturale denominato “Colturazione” che vorrebbe, attraverso la presentazione di una petizione di revisione costituzionale, la strutturazione di regole che garantiscano omogeneità su tutto il territorio nazionale pur considerando le evidenti differenze territoriali.

Ogni cittadino italiano ha il diritto di ricevere la stessa qualità di prestazione in ogni territorio egli risieda. L’istruzione come la sanità sono due settori dove lo stato “si prende cura “dei suoi cittadini, della loro salute e delle competenze che potranno poi creare una nazione che incentra il suo futuro sul progresso. Allora, nel settore istruzione, che ci sia più attenzione a leggere dei risultati Invalsi in una chiave di cambiamento operativo non prettamente statistico e che, in ambito sanitario, il post pandemia possa essere un periodo di ricostruzione sistematico per non cadere più in manovre legislative di circostanza ma in un reale processo di innovazione e tutela di ogni italiano.

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