Michele De Pascale e Stefania Proietti sono i due sindaci che qualche giorno fa sono stati eletti rispettivamente presidenti dell’Emilia-Romagna e dell’Umbria. Entrambi, per oltre otto anni sono stati primi cittadini di Ravenna, De Pascale, e di Perugia, Proietti. Prima di loro, esattamente il mese scorso, un altro sindaco, Marco Bucci che ha amministrato la città di Genova ed è stato commissario straordinario per la ricostruzione del ponte Morandi, è stato eletto invece presidente della Liguria.
Insomma, questa tornata elettorale autunnale nelle tre regioni italiane ci consegna ancora una volta una granitica certezza: a dispetto dei partiti che hanno dismesso colpevolmente ogni attività formativa, la palestra polverosa dell’amministrazione locale è ancora capace di forgiare e sfornare classe dirigente. Personale politico che abbia capacità e competenze adeguate, che si è fatto le ossa nella gestione dei municipi, quindi dell’anello della catena istituzionale più vicino ai cittadini.
Sindaci che sono condannati a farsi carico ogni giorno delle esigenze quotidiane che i loro cittadini gli riversano addosso, a prescindere dagli effettivi poteri. Proietti, Bucci e De Pascale sono soltanto gli ultimi tre di una folta rappresentanza di sindaci che hanno trasferito le loro esperienze e il loro consenso dal Comune alla Regione. Qui, giusto per citare altri esempi più vicini a noi, come non rammentare il percorso istituzionale fatto da Michele Emiliano, che da sindaco di Bari è poi diventato presidente della Puglia, o quello di Vincenzo De Luca, che dal suo ufficio di sindaco di Salerno è andato poi a Palazzo Santa Lucia per guidare la Campania.
Ma, più in generale la storia dei sindaci che salgono a piè pari i gradoni dello scalone istituzionale, nazionale ed europeo, ci mette di fronte a una realtà che abbiamo sotto gli occhi e che non vogliamo irresponsabilmente vedere nella sua gravità. I partiti nazionali hanno rinunciato, per diverse e molteplici ragioni che vanno dalla carenza di risorse finanziarie, senza escludere il processo di leaderizzazione che riduce drasticamente la necessità di far crescere classe dirigente, a formare i propri iscritti e militanti.
L’alfabetizzazione alla politica è scomparsa del tutto, sembra che non abbia più alcun valore strategico, né importanza, in particolare quando c’è da scegliere i candidati per il Parlamento. Il vuoto formativo è diventato un tratto comune di tutti i partiti contemporanei. Al più si pensa di sopperire a questo deficit organizzando qualche scuola estiva, qualche appuntamento occasionale, corsi estemporanei che nascono e muoiono senza alcun lascito di competenze.
Così, quando c’è necessità di competere in quelle elezioni che si possono vincere solo se i candidati messi in campo sono capaci e attrezzati a raccogliere le preferenze, ecco che i partiti, un tempo agenzie formative strepitose, sono costretti a pescare nelle realtà locali donne e uomini che possano sollevarli dal fastidio e dall’imbarazzo. Solo che i sindaci vanno bene nel momento del bisogno, ma poi sono lasciati da soli a fronteggiare una quotidianità senza più complessa.
Quindi, l’elezione dei De Pascale, dei Bucci e delle Proietti, sulla quale i partiti si sono affrettati a mettere il cappello, dovrebbe farci riflettere da un lato sull’opportunità per i partiti e i leader di ricominciare ad allevare classe dirigente, dall’altra sulle qualità spesso trascurate e sottovalutate dei nostri sindaci.
Bentornato,
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