«Non è un fatto che non ci riguarda». Lo ha detto chiaro e tondo il capo della Dda di Bari, Francesco Giannella, a margine dell’ultima operazione antidroga. Un gesto di repressione, quello esercitato mercoledì dall’autorità giudiziaria e dalle forze dell’ordine, che per dovere istituzionale individuano i reati e li perseguono. Ma non è tutto lì. Quel che ne emerge, lo spaccato che squarcia le carte giudiziarie di un ennesimo blitz, è un mondo in cui la parola “insospettabile” è vangelo, e la distinzione tra legale e illegale ha sfumature difficilmente percepibili: pusher ragazzini che invece di fare i compiti gestivano intere piazze di spaccio, studentesse universitarie che studiavano da narcotrafficanti, scalando le gerarchie dell’organizzazione criminale, bariste che custodivano hashish, marijuana e cocaina tra un gin e una vodka. Un mondo parallelo vestito da quotidianità, e per questo pericoloso. «Non è un fatto che non ci riguarda», avverte il procuratore aggiunto, ed è un punto da tenere in alto nella classifica delle cose da fare. Primo posto, dunque, per chi governa, ma non solo.
La studentessa della porta accanto, che sceglie quel mondo parallelo come in una sorta di sliding door, è cosa che riguarda tutti.
È allarme per i suoi genitori, per i suoi amici, è campanello per l’intera rete sociale, che troppo spesso nulla vede e nulla sente, presa com’è dallo sforzo di resilienza.
La barista, la studentessa e il liceale spacciatore sono i “nostri” giovani, ai quali andrebbe garantita la possibilità di scegliere. La chimera della Playstation o di Internet senza limiti, come in un banalissimo spot (ndr, è quel che emerge nell’ultima indagine), non può più rappresentare la leva che scardina coscienze e annulla l’abisso fra giusto e sbagliato.
Ai “nostri” giovani vanno offerte alternative, che siano almeno altrettanto valide quanto l’accesso gratuito al mondo del web. Le istituzioni in primis se ne facciano carico, si adoperino per dare sostanza a quella parola, “prevenzione”, di cui in tanti si gonfiano le guance appuntandosi medaglie.
Prevenzione, che non sia progetti sporadici e poco attraenti, ma che entrino nel quotidiano dei nostri ragazzi, che siano affascinanti quanto lo è la mafia, ma soprattutto che siano capillari e duraturi. Negli anni ci sono stati tentativi, e prova ne è proprio quel progetto, lanciato nei primi anni 2000 dall’allora amministrazione comunale per recuperare 100 minori di mafia a Bari vecchia. Tra questi, proprio quel Davide Monti, il “ragazzo con la pistola” del 2002, oggi a capo di un’organizzazione di narcotrafficanti, con altri precedenti per rapina e una pistola tatuata sulla pelle. Un progetto che si rivolgeva a lui e ai ragazzini che “studiavano” da boss, ma che si impantanò in una melma di paura e impotenza. Non li abbiamo salvati quei 100 ragazzini, non abbiamo dato un’alternativa al ragazzo con la pistola, ma il sistema non è distante da noi.
Il sistema siamo noi, siamo i vicini di casa della studentessa insospettabile, siamo la scuola che non deve limitarsi a seguire pedissequamente il programma ministeriale, siamo la famiglia e gli amici. Siamo noi quella rete sul territorio che sostiene chi inciampa. E quel che ci circonda, che affascina i nostri ragazzi, non è un fatto che non ci riguarda.