I problemi resteranno anche se Draghi dovesse “resuscitare”

Il governo Draghi era nato sotto buoni auspici, favorito dai vaccini, dalle ingenti risorse del Pnrr e dalla più flessibile politica di bilancio adottata dall’Unione Europea. Una strada in discesa, colma di allori per il premier segnato dal destino e amato dalle cancellerie di tutto il mondo (o quasi). Un popolo di inaffidabili riscattati dall’unico italiano ritenuto affidabile. Ma questo quadro roseo e pieno di magnifiche prospettive si è rovesciato nel suo opposto.

La tensione sui mercati energetici, causata soprattutto dalla guerra in Ucraina, la siccità e un generale incremento dei prezzi delle materie prime, hanno prodotto una spinta inflazionistica che ha riportato il paese agli anni Ottanta (a giugno 2022, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo si è attestato su base annua all’8,5%) e scaraventato la moneta unica in un territorio del tutto sconosciuto. Non sorprende che le tensioni politiche abbiano travolto il governo di unità nazionale aprendo una crisi politica il cui esito appare incerto. Se questo governo dovesse superare la crisi, il suo ulteriore cammino sarebbe in salita, in un contesto di crescente incertezza per famiglie e imprese.

Secondo un recente rapporto della Banca d’Italia, l’inasprimento del conflitto in Ucraina e delle tensioni tra Russia e paesi occidentali causerebbe come effetto immediato un blocco totale o una drastica riduzione delle forniture energetiche con la conseguente inevitabile interruzione delle attività industriali caratterizzate da una maggiore intensità energetica.

In questo scenario pessimistico, i prezzi delle materie prime subirebbero ulteriori forti rialzi, aumentando l’incertezza, deteriorando il clima di fiducia, riportando le imprese ad una situazione analoga a quella conseguente alla crisi finanziaria globale del 2008 e le famiglie ad una condizione simile a quella causata dallo shock pandemico.

Il tasso di crescita del Pil si porterebbe al di sotto dell’1% nel 2002 e subirebbe una ulteriore contrazione di quasi 2 punti percentuali nel 2023. Le condizioni del mercato del lavoro tornerebbero a deteriorarsi e il tasso di disoccupazione si porterebbe nel biennio 2023-24 su livelli più elevati attestandosi ben oltre il 10%. A questo si aggiunge un rialzo generalizzato dei tassi di interesse, già in atto, coerentemente con le aspettative inflazionistiche e la politica monetaria restrittiva.

Il rendimento dei titoli di Stato decennali italiani crescerebbe da 0,8 %, nella media del 2021, a 2,8 % quest’anno (3,4 nel quarto trimestre) e salirebbe a 3,6 % nel 2023 e a 3,8 nel 2024. É chiaro che in questo contesto le condizioni del Mezzogiorno peggiorerebbero drasticamente e svanirebbe del tutto l’effetto benefico degli investimenti programmati nell’ambito del Pnrr. Questo quindi il quadro pessimistico che il governo Draghi resuscitato o un governo di transizione dovrà affrontare.

E non si può pensare di risolvere i problemi facendo appello alle doti taumaturgiche dell’uomo del destino, chiunque esso sia. Le fragilità del sistema Italia, messe in evidenza dalla crisi, sono croniche e difficilmente possono essere rimosse nel breve periodo. Il problema della dipendenza energetica, per esempio, poteva essere impostato e risolto negli anni delle vacche grasse, e la politica di approvvigionamenti opportunamente programmata e non lasciata al caso, o ristretta a stupide posizioni ideologiche (come impedire le trivellazioni al nostro paese, mentre un nostro confinante continua a farle indisturbato nello stesso mare).

Del tutto errato è anche il modo di risolvere la crisi delle forniture russe, andando a stabilire nuove dipendenze con altri governi sostanzialmente allineati con la Russia, come l’Algeria e il Mozambico. Conoscendo la sua fragilità energetica, l’Italia doveva assumere un atteggiamento diverso nella guerra in Ucraina, sollecitando l’Unione Europea ad adottare una politica di neutralità attiva, di mediazione diplomatica e di pacificazione, e invece il governo Draghi è stato in prima fila nell’assecondare politiche del tutto estranee alla tradizione diplomatica italiana ed europea del dopoguerra.

Pagheremo anche questa scellerata e insensata scelta di campo. Intanto “mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata”, e la politica, le stesse istituzioni appaiono incapaci di pensare al bene comune.

Rosario Patalano è docente di Storia del pensiero economico all’università Federico II di Napoli

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