La pregevole trasmissione “Cose nostre” il 15 luglio su Rai1 ha acceso un riflettore sulla situazione della mafia cerignolana partendo dai drammatici anni ’80 fino ai giorni nostri. Una trasmissione che ospita testimoni di giustizia e procuratore, oltre che vittime di delitti. Insomma la Puglia in primo piano, e questa volta non per le alte temperature. per la movida turistica o per la bellezza di Borgo Egnathia. In qualche modo, la Puglia vera, o l’altra Puglia come dir si voglia. Una trasmissione che impone di definire la città di Zingarelli e di Di Vittorio una “cosa nostra”, che non va nascosta ma anzi riconosciuta e accettata nella sua paternità pugliese. Una prova di giornalismo corretto cui occorre rispondere con dignità e consapevolezza. Il sottoscritto ha già pubblicato libri sui fatti di Cerignola che la trasmissione ha riportato con nomi e cognomi. Per questo occorre un forte monito di solidarietà ai cerignolani onesti che non può e non deve prescindere dal riconoscimento del tessuto mafiogeno che ne ha inquinato l’immagine. Che lo si dica chiaro: i fatti terribili di Cerignola sono un problema pugliese, e non può essere più nascosto. Occorre affermare il percorso di resilienza che tante forze sociali e civili hanno già attivato, basti pensare ai beni confiscati ai mafiosi, terre ora gestite da due cooperative di giovani, perle dell’impegno pugliese, quali Alterco e Pietre di Scarto. A loro l’onore di non aver negato e di aver realmente preso in mano la situazione. A noi, gente sempre perbene, il disonore di aver taciuto o ignorato finché non è giunta una trasmissione nazionale a turbare le nostre coscienze.