La notizia è che i problemi dell’abitare sono tornati nelle campagne elettorali. Sempre più persone, infatti, faticano a trovare un alloggio adeguato e a prezzi accessibili (= casa). È un fenomeno che colpisce non più solo le fasce più fragili della popolazione, poiché ormai anche quello che un tempo era considerato il ceto medio subisce una vera e propria emergenza abitativa, che accomuna persone apparentemente diverse tra loro.
Il riemergere del tema delle politiche abitative, accantonato per troppo tempo dalla politica, è merito di tutti coloro i quali – nei movimenti di base e nel volontariato – si sono mobilitati per evidenziare gli enormi problemi cui va incontro una fascia sempre più larga di popolazione, afflitta dal rischio di povertà assoluta e dalla povertà relativa (ultimo triste primato della Puglia).
D’altro lato c’è anche che la crisi economica si fa sentire soprattutto nei settori che hanno più difficoltà a scommettere sull’innovazione, come quello dell’edilizia privata che fronteggia la situazione con torsioni finanziarie talvolta speculative. Nella campagna elettorale in corso per le regionali sentiamo finalmente dire che la casa è un diritto. E questo è bel salto di qualità concettuale, rispetto agli ultimi vent’anni.
Finalmente si prende atto della necessità di regolare gli affitti brevi nei Comuni turistici, e le formazioni di Antonio Decaro e di Ada Donno, intendono porre i Comuni nelle condizioni di fissare limiti e regole per le locazioni turistiche – numero massimo di giorni, zone consentite o obbligo di registrazione – per tutelare i residenti, ma se tali interventi saranno limitati ai centri storici saranno del tutto inefficaci.
Anche la realizzazione di 1500 posti letto per gli studenti universitari, pianificata dal centrosinistra, è un intervento necessario per intervenire sul mercato degli affitti. Si intende farlo mediante riuso di strutture esistenti: tali alloggi dovranno restare di proprietà dell’Adisu senza logiche di profitto.
Il centrosinistra usa parole come cura, persone fragili, rafforzamento delle comunità, inclusione di tutti e tutte, autonomia. Un linguaggio conquistato, che deve essere declinato in concreto. E in concreto afferma di voler ampliare l’offerta di alloggi con nuova edilizia sociale, per giovani e giovani coppie, o formule di cohousing per gli anziani, per favorire la sperimentazione dell’abitare condiviso anche all’interno del mercato abitativo privato. Intende farlo mediante rigenerazione urbana e riuso di edifici esistenti: speriamo che non promuova nuove speculazioni finanziarie, né ulteriore cementificazione, perché invece già l’attuale legislazione regionale consente notevoli ampliamenti e spostamento di volumetrie: dobbiamo confidare nella tenuta dei piani regolatori dei Comuni, per il momento, laddove ci sono.
Per il resto la formula del sostegno ai privati sembra andare per la maggiore: incentivi a chi riqualifica immobili per i giovani. Proposte che non appaiono risolutive né innovative e che anzi sembrano incentivare l’abbandono delle città – rinunciando quindi a governare il mercato. Il centrodestra propone più semplicemente un Piano Casa per i giovani: un piano di edilizia a prezzi calmierati, di riqualificazione delle care vecchie case popolari e dei quartieri degradati, con l’obiettivo esplicito di «dare benzina alle imprese» turistiche ed edili, mediante sensibile incremento degli ampliamenti volumetrici.
Quello che è stato fatto finora, in pratica, e che sarebbe auspicabile non si verificasse più nello stesso modo. Nel settembre scorso, con un Prin di nome UAH! (Unconventional Affordable Housing!) di cui l’Università e il Politecnico di Bari sono parte, insieme al PoliMI e a UniTrieste, ho partecipato a dei talk ospitati dal Padiglione austriaco della Biennale di Architettura di Venezia, gestito dalla Agency for Better Living istituita dalla città di Vienna. Ho appreso che la municipalità di Vienna (due milioni di abitanti) è il maggior property manager d’Europa: è proprietaria di 220mila appartamenti (il 28% dello stock immobiliare presente in città), che offre in locazione con contratti a tempo indeterminato, e dispone di altre 220mila unità in convenzione con associazioni a «profitto limitato».
Questo stock è il social housing viennese. Il tetto di reddito individuale per accedervi è di circa 59mila euro annui e i canoni sono calibrati in base alle possibilità dell’utilizzatore. Solo il 45% del mercato immobiliare viennese è privato. In questo modo la Municipalità riesce a essere un player così importante nel mercato immobiliare da condizionarlo. Il 77% dei residenti vive in affitto e non teme di dover lasciare l’abitazione in cui vive. Ora, è noto che Vienna è in grado di fare questa politica grazie al fatto che la fa da circa un secolo. Tuttavia, non solo non ha cambiato rotta, ma invece di agevolare i privati, continua ad acquisire suoli e immobili in proprietà e a controllarne la gestione.











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