Grandi elettori e piccoli eletti

La crisi politica innescatasi in Italia si è conclusa con le dimissioni definitive del Presidente Draghi: la parola ora passa agli italiani. I più critici nei confronti dei sindaci e dei manifestanti scesi in piazza per chiedere a Draghi di restare (una campagna che rievoca il britannico “remain” anti-Brexit, del tutto inedita per l’Italia del “piove: Governo ladro”) sono stati tutti giustamente concordi nell’affermare che le elezioni rappresentano l’unico vero strumento democratico.

E qui sta il problema, perché nel corso dei 75 anni della nostra Repubblica anche il voto popolare è stato colpito al cuore dalla crisi della politica. Proviamo a guardare le cose con oggettività e scopriremo le ragioni che tolgono a molti italiani ogni entusiasmo per la prospettiva elettorale quale panacea che dovrebbe miracolosamente risolvere i problemi del Paese, pur riconoscendone la suprema modalità di espressione della sovranità popolare.

Innanzitutto c’è l’astensionismo dettato dalla sfiducia nell’attuale classe politica e negli stessi strumenti a disposizione dei Governi per affrontare le grandi questioni che avviliscono la vita degli italiani: l’impoverimento e la perdita inesorabile del potere d’acquisto conseguente all’introduzione dell’Euro con la formula del cambio Lira-Marco, i salari più bassi d’Europa in ogni comparto pubblico e privato, la spesa privata per la salute, le liste d’attesa e la marginalità della Ricerca Scientifica, il peso del fisco e delle tassazioni regionali o comunali, l’assenza di meritocrazia e la fuga dei giovani all’estero.

E poi c’è l’altra questione cruciale che gli Italiani sembrano avere ben presente: andare alle elezioni per eleggere chi? Si tratta di una domanda che sorge spontanea non esistendo più nessun tipo di processo di formazione e selezioni della classe dirigente, in tempi di parlamentari nominati dall’alto dai leader di partiti o movimenti sempre più personalizzati, talora improvvisati, di certo senza legami coi territori in quanto non è consentito all’elettore di scrivere sulla scheda elettorale il nome del proprio rappresentante locale (esattamente come avveniva per i listoni delle leggi fascistissime del 1924).

Certamente questo meccanismo di “nomination” parlamentare non giova ad eleggere personalità che godono di stima popolare a livello territoriale. Gli elettori sanno molto bene che andare al voto non fornisce nessuna garanzia di sostituire gli attuali parlamentari e l’attuale Governo con delle personalità in grado di affrontare i problemi del Paese, amplificati da una crisi internazionale senza precedenti dalla Seconda Guerra mondiale.

Se poi si parla nello specifico della figura dell’attuale Presidente del Consiglio (di certo non uno “qualunque”), appare scontata l’impossibilità di paragonare prestigio e competenze di Mario Draghi con un “qualsiasi” altro papabile candidato. Gli italiani hanno ben compreso che – a differenza dell’estate del Conte Bis – oramai si può anche andare a votare, essendo alle porte la fatidica data del 20 Settembre con l’automatico diritto alla pensione da parlamentare maturato per ciascun aspirante statista di questa Legislatura (anche per quelli che volevano abolirle).

Tutti sappiamo bene che le elezioni – pur rimanendo lo strumento principe della democrazia – non risolveranno “nessuno” dei nostri problemi, tranne quello di far ritornare alle precedenti occupazioni molti degli attuali deputati e senatori, privandoci al contempo di Mario Draghi, di cui i “grandi elettori” di partito non hanno voluto l’ingombrante presenza al Quirinale, richiamando Mattarella dalla pensione (questa sì pluri-meritata), a riprova della grave crisi della nostra democrazia rappresentativa, cui gioverebbe l’elezione diretta del Capo dello Stato (ma per queste elezioni nessun “grande elettore” si sbraccia).

Di sicuro c’è molto da “lavorare” anche da parte di noi cittadini in ogni aspetto della nostra socialità quotidiana. Non è infatti pensabile che i cittadini siano chiamati a “vivere” la Democrazia solo al momento del voto senza altre forme di partecipazione attiva e associativa (spazi una volta garantiti dai partiti). Nel frattempo al voto dunque, perché la Democrazia trionfi sempre e comunque. Ai leader di partito il compito di sorprenderci in meglio.

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