Le vicende di Borgo Mezzanone, dove la Regione Puglia ha deciso di rilanciare il contestatissimo appalto per la sistemazione dei braccianti nei container, e di Palazzo San Gervasio, dove si è posto il problema di collocare i migranti che finora hanno vissuto nell’ex tabacchificio, ha riacceso i riflettori sulle politiche di gestione dell’immigrazione.
Soprattutto adesso che nel Parlamento di Strasburgo si è insediata una nuova maggioranza e si discute della composizione della prossima Commissione europea. Già, europeo: di questo taglio dovrebbe essere l’approccio alla materia dei migranti da lavoro. Pochi temi, d’altra parte, soffrono la semplificazione del discorso pubblico quanto l’immigrazione. E l’immigrazione di massa è lo spettro che i partiti populisti e sovranisti continuano ad agitare al solo scopo di guadagnare qualche punto di consenso in occasione di questa o quella tornata elettorale.
Certo, il tema non può essere ignorato, specialmente in una fase storica in cui l’Unione europea ha ben due guerre alle porte. Ma la pressione degli sbarchi di migranti si è progressivamente ridotta dal 2019 a oggi e la situazione attuale è ben lontana dal picco degli arrivi registrato nel 2019. Nello stesso tempo, l’Italia deve fare i conti con una crisi demografica che dovrebbe sollecitare una riflessione sulle opportunità legate ai flussi migratori con l’obiettivo di sostenere il mercato del lavoro e la tenuta del welfare.
Tradurre certe riflessioni in strumenti politici significa individuare percorsi di ingresso regolare dei migranti nel mercato del lavoro europeo, anche per la manodopera a bassa specializzazione. Al netto dell’adozione di un sistema di autorizzazione unica al lavoro nel territorio dell’Unione europea, finora si è pensato soltanto alla gestione dei flussi di migranti in entrata attraverso le maglie, più o meno larghe, delle regole sull’asilo.
Nell’Unione europea, dunque, manca una politica organica e di lungo periodo in tema di immigrazione. E se ciò accade è perché la materia rientra ancora nella competenza dei singoli Stati membri, con limitatissime possibilità di intervento da parte di Bruxelles. Servirebbe, invece, un approccio solidaristico, come Graziella Romeo ha osservato su “Il Sole 24 ore”.
Il che significa superare i calcoli politici dei singoli Stati, soprattutto nel momento delle elezioni, e individuare una serie di regole comuni in materia di immigrazione da lavoro. E, più in concreto, rovesciare quella narrazione in base alla quale garantire il benessere economico al territorio passa necessariamente per una riduzione della presenza di migranti: un racconto smentito dai dati sulle prospettive di andamento della popolazione autoctona e sulla forza lavoro che quest’ultima sarà in grado di esprimere nei prossimi anni.
In altre parole, le gestione dei migranti da lavoro non può essere rimessa alle politiche dei singoli Stati membri, spesso e volentieri inefficaci come nel caso del decreto Flussi e dei click day che puntualmente definiscono un numero di ingressi nel nostro Paese inferiore alle reali necessità del mercato del lavoro. È indispensabile un approccio europeo, solidaristico, pragmatico, non più ideologico né basato sulle strategie politiche dei singoli partiti al momento delle elezioni: altrimenti l’immigrazione continuerà a essere interpretata e gestita come un fenomeno straordinario e non come un’opportunità per l’occupazione e il welfare.