Giusta la strada della decontribuzione. Non dimentichiamo la scuola

Il Mezzogiorno permane nel suo stato di area depressa, rivelando debolezze strutturali e profonde disuguaglianze economiche e sociali che peggiorano il divario rispetto alle regioni del Nord. É quanto emerge da un rapporto redatto dai ricercatori della Banca d’Italia, che offre un quadro aggiornato dell’evoluzione dei divari territoriali. Una analisi di particolare interesse in quanto delinea le caratteristiche dell’economia meridionale dopo la crisi pandemica. I dati mostrano che il peso economico del Mezzogiorno si è ulteriormente ridotto: i tassi di occupazione, il prodotto pro capite e i livelli di produttività sono ampiamente inferiori a quelli del resto del Paese e rispetto ad alcune aree europee in ritardo di sviluppo. Le regioni meridionali si sono allontanate dal sentiero di sviluppo.

Quei labili segnali di vitalità che sono emersi nel decennio scorso, come l’aumento delle esportazioni, la crescita della produzione energetica e del turismo, rischiano di spegnersi nel contesto di incertezza generato dalla guerra in Ucraina. Il tessuto imprenditoriale meridionale resta debole, con aziende meno produttive, meno capitalizzate, meno profittevoli di quelle del Centro Nord. E le prospettive non sono rosee, purtroppo.

Le proiezioni disponibili prevedono una ulteriore contrazione della popolazione in età da lavoro ancora più marcata di quella attesa per l’Italia nel suo complesso, effetto anche di una minore capacità delle regioni meridionali di attrarre immigrati e trattenere i giovani, soprattutto quelli con elevato capitale umano, nel territorio. Senza un deciso intervento diretto ad incrementare la partecipazione al mercato del lavoro, le opportunità di occupazione, i livelli di produttività e a facilitare le condizioni di accesso al credito delle imprese, il Mezzogiorno peggiorerà la sua condizione di area marginale rallentando lo sviluppo dell’intero Paese.

Una tendenza che può essere contrastata solo con politiche economiche dirette a rimuovere le debolezze strutturali, soprattutto sul mercato del lavoro. La forza lavoro del Mezzogiorno al IV trimestre 2021 è stata composta da 7 milioni e 145 mila individui (il 28,3% del totale nazionale), in aumento dell’1% rispetto al IV trimestre 2020. Il numero di occupati è salito a 6 milioni e 34mila persone (+1,9%), mentre il numero dei disoccupati è sceso a 1 milione e 111 mila unità (-3,7% contro -6,9% nel Centro-Nord e -5,4% in Italia). Il tasso di occupazione ha registrato un aumento portandosi al 46%, mentre quello di disoccupazione si attesta al 15,6%; in calo il tasso di disoccupazione femminile (da 17,8% del IV 2020 a 17,0%). Resta però altissima la disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni con il 53,6%, e il tasso dei Neet nel Mezzogiorno (cioè individui compresi tra i 15 e i 29 anni inattivi in istruzione, in lavoro o in formazione) è 36,6% e nel Nord-Est italiano il 16% (in Sicilia addirittura al 48,7%, il più alto indice d’Italia così come l’indice di disoccupazione di lunga durata, pari al 65,4%). Nonostante quindi alcuni segnali positive, per le fasce più deboli del mercato del lavoro, la situazione resta drammatica. Gli strumenti messi in campo dal governo hanno fino ad ora rivelato una parziale efficacia. Innanzitutto l’incentivo Decontribuzione Sud, una agevolazione contributiva introdotta dal DL 104/2020 art. 27 che prevede l’esonero del 30% dei contributi a carico dei datori di lavoro dal 1° ottobre 2020, con riferimento ai rapporti di lavoro dipendente la cui sede di lavoro sia situata in regioni del Mezzogiorno previa autorizzazione della Commissione Europea. Uno strumento che in deroga agli aiuti di Stato è stato ulteriormente prorogato a tutto il 2022, come annunciato dal ministro Carfagna (la legge 178/2020 ne ha previsto l’applicazione fino al 2029, sempre subordinata all’approvazione della Commissione Europea). In termini occupazionali Decontribuzione Sud ha prodotto 213.704 assunzioni e variazioni contrattuali nel 2020 e 1.220.127 nel 2021.

Un’ulteriore misura è l’Esonero giovani, una agevolazione contributiva introdotta dalla Legge 205/2017 che prevede l’esonero del 50% dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro per le nuove assunzioni a tempo indeterminato a tutele crescenti effettuate dal 1° gennaio 2018 la cui durata è pari a trentasei mesi a partire dalla data di assunzione. Successivamente la Legge 178/2020 ha stabilito che per questa agevolazione l’esonero sia pari al 100% per le assunzioni/trasformazioni a tempo indeterminato effettuate nel biennio 2021-2022 e, per le sole regioni del Mezzogiorno, la durata diventa di quarantotto mesi (109.508 unità occupate nel 2019, 85.204 mel 2020 e 172.091 nel 2021). Altri strumenti disponibili sono l’ Incentivo donne (69.933 unità occupate nel 2019 , 59.099 bel 2020, 97.441 nel 2021) e Occupazione Sud (con 49.639 unità occupate nel 2019). É chiaro che questa è la strada da percorrere, potenziata ovviamente da massicci investimenti in istruzione, rafforzando la formazione del capitale umano che risulta oggi essere l’elemento strutturale più debole del Mezzogiorno. Ma occorrerebbe riformare radicalmente la scuola nei suoi meccanismi di reclutamento e di contrattualizzazione del corpo docente, poiché questa è l’area oggi più critica.

Rosario Patalano è Professore di storia del pensiero economico all’Università Federico II di Napoli

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