Le anticipazioni finora emerse sulle politiche che il prossimo governo attuerà in materia di contrasto al Covid, al netto delle prevedibili correzioni di rotta rispetto alle dichiarazioni rilasciate da esponenti della nuova maggioranza, confermano un approccio coerente da parte di quest’ultima con le prese di posizione assunte durante la pandemia. Un approccio, cioè, caratterizzato da una preoccupante sufficienza rispetto al ruolo della vaccinazione come strumento di contrasto alla diffusione del contagio, quindi di prevenzione delle varianti più gravi.
Preoccupa soprattutto la prospettiva della eliminazione dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario in servizio negli ospedali e nelle strutture socio-sanitarie, un obbligo che è servito negli ultimi due anni ad aumentare la soglia di difesa immunitaria nelle strutture deputate alla cura dei pazienti, la cui fragilità non dipende certamente dal reparto ospedaliero in cui sono ricoverati.
Occorre in proposito ricordare due punti fondamentali. Il primo: come si è abbondantemente visto, il vaccino non elimina il rischio del contagio, data anche la estrema capacità di mutazione del virus responsabile dell’infezione, ma riduce in maniera drastica il rischio di contrarre forme gravi che causano ricoveri in terapia intensiva. Poi il secondo: la vaccinazione anti-Covid ricopre un ruolo centrale non solo nella strategia di prevenzione del rischio biologico del personale sanitario al pari della vaccinazione anti-influenzale (quindi a protezione dei lavoratori da un rischio professionale specifico), ma anche nella strategia di prevenzione opposta, ovvero proteggere i pazienti dal rischio di essere contagiati dal personale di assistenza (una fattispecie di gestione del rischio clinico).
Del resto, se oggi quegli stessi esponenti politici che oggi vagheggiano un allentamento delle strategie vaccinali possono esprimersi in questo senso, è perché gli anni appena trascorsi hanno visto un impegno straordinario del servizio sanitario nel portare a compimento una campagna vaccinale che, nonostante difficoltà e opposizioni di ogni genere, ha sostanzialmente raggiunto gli obiettivi di copertura nella popolazione, specie con riferimento al settore sanitario. Grazie a questo “zoccolo duro” di protezione immunitaria conferito dalla vaccinazione (con il fondamentale aiuto del sistema del “green pass” da non dimenticare), il sistema sanitario può oggi gestire senza affanni e in maniera più mirata l’impegno a proseguire la campagna di rinforzo vaccinale. In questo contesto, è auspicabile piuttosto che i decisori politici, compatibilmente con le evidenze epidemiologiche e scientifiche, assicurino la transizione verso una definitiva stabilità vaccinale in cui non si parli più di rinforzi, bensì di richiami annuali da inserirsi, nel caso specifico del personale sanitario, negli appositi protocolli di sorveglianza. Le drammatiche esperienze vissute da Paesi con approccio debole in ambito vaccinale hanno ampiamente dimostrato che la pericolosità del virus non cambia a seconda dell’orientamento politico, e che un approccio politico molle in chiave vaccinale espone la popolazione a gravi rischi.
Ottavio Narracci è docente di Management sanitario alla Lum