Nel decennio 2014-2023, l’Italia ha utilizzato fondi dall’Unione europea per una somma complessiva di circa 105 miliardi di euro: il 45% per la gestione dei fondi strutturali (Fondo europeo di sviluppo regionale; Fondo sociale europeo Plus; Fondo di Coesione) e il 55% per la gestione di altre tipologie di fondi. A queste risorse si sono aggiunti gli ingenti trasferimenti previsti dal Pnrr, circa 121 miliardi di euro, erogati fino a gennaio 2025, a cui si aggiungerà la settima rata di 18,3 miliardi. Considerando il ciclo di programmazione 2021-2027, al 31 agosto 2024, quindi a metà ciclo, dei 75 miliardi di euro complessivi di fondi strutturali e specifici, ne sono stati effettivamente allocati 12 miliardi, pari al 16,7%. Il valore complessivo impegnato dall’Italia risulta superiore soltanto a Cipro, Slovenia, Croazia e Portogallo.
Nonostante l’afflusso significativo di risorse comunitarie, l’Italia non riesce a utilizzare efficacemente i fondi europei, a causa di problemi strutturali che impediscono di cogliere pienamente le opportunità offerte. Secondo un rapporto della Corte dei Conti, nel 2020 l’Italia ha speso solo il 38% delle risorse assegnate per il ciclo di programmazione 2014-2020, una percentuale tra le più basse in Europa. La Polonia e la Spagna, nello stesso periodo hanno raggiunto una capacità di spesa rispettivamente del 72 e del 65%. La scarsa efficienza non solo impedisce di spendere pienamente i fondi europei, ma espone al rischio di dover restituire le risorse.
Nel ciclo 2014-2020, infatti, circa 5 miliardi di euro sono stati oggetto di ridefinizione o restituzione a causa di ritardi e inefficienze. I problemi strutturali riguardano innanzitutto la complessità della macchina burocratica, le competenze eccessivamente frammentate e non sempre adeguate, una capacità amministrativa lacunosa, a cui si aggiunge una cronica scarsa capacità di progettazione delle amministrazioni locali, soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono enormi le difficoltà nell’elaborazione di progetti in linea con rigidi requisiti stabiliti dall’Unione europea, con il risultato che il 30% dei progetti presentati non è conforme ai criteri dei bandi europei e non riesce a superare la fase dei monitoraggi e dei controlli.
Le Regioni italiane più sviluppate del Centro-Nord riescono a utilizzare meglio i fondi strutturali europei, mentre quelle meridionali meno sviluppate, dove le risorse sono assolutamente necessarie, risultano le più inefficienti. Le Regioni del Centro-Nord hanno impegnato il 18,6% dei programmi nazionali e il 32,9 di quelli regionali; quelle meridionali hanno invece impegnato il 16,2% delle risorse dei programmi nazionali e molto meno, l’8,3, dei programmi regionali. Evidentemente, nel complesso, il modello italiano fortemente decentrato e regionalizzato non è certamente un modello di successo. Altri Paesi europei hanno adottato diversi modelli di intervento con risultati decisamente migliori, in particolare la Polonia ha definito una gestione centralizzata dei fondi, mentre la Germania ha realizzato un efficiente sistema di partenariato tra pubblico e privato, e la Spagna ha concentrato tutte le risorse nelle aree rurali evitando la dispersione. La migliore soluzione per l’Italia sarebbe l’adozione di un modello centralizzato in grado di definire le priorità secondo assi strategici di sviluppo, monitorando l’attuazione dei programmi regionali e intervenendo in caso di ritardi e strozzature. A questo modello si è avvicinato il governo Draghi per la gestione del Pnrr, con la creazione di una struttura centralizzata (cabina di regia), ma con responsabilità diffuse per garantire l’efficienza, il rigoroso monitoraggio e il rispetto degli impegni presi con la Commissione europea, prevedendo l’attivazione di poteri sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti, per superare eventuali ritardi o criticità nell’attuazione dei progetti.
Nonostante lo sforzo, però, i risultati del Pnrr non sono del tutto positivi. Secondo la relazione semestrale della Corte dei Conti al Parlamento, nel dicembre 2024, la spesa dei fondi Pnrr si attestava a 57,7 miliardi di euro, circa il 30% delle risorse totali. È importante notare che i progetti conclusi finora sono principalmente acquisti di servizi e incentivi a privati e imprese, mentre meno del 5% è costituito da opere pubbliche. Realizzare meccanismi di centralizzazione senza una riforma complessiva della pubblica amministrazione, come ha fatto il governo Draghi, significa cadere nell’illusione che una testa possa funzionare su un corpo gracile.