Gaza: e siamo a dieci. Anche se lo schifo continua a sovrastare di gran lunga il buono, a poco meno di due anni di assedio, Gaza comincia ad occupare le prime pagine dei giornali ed i telegiornali cominciano a documentare le nefandezze di Israele. Non so come spiegarlo, eppure si percepisce in modo evidente: scrivere, parlare di Gaza è, nella maggior parte dei media, difficile, molto difficile; la drammaticità della realtà si scontra con la bugiarda narrazione del Governo israeliano e, quindi, riesce molto difficile rimanere in equilibrio fra il dire e il non dire. Appartenere cioè, a quella corrente del ‘Political correct’ che ti evita guai e salvaguarda la carriera.
Facciamo un esempio: raccontare come fa Israele, che l’Idf – Israelian Defens Force (esercito israeleiano) – si occupa soltanto di vigilare sulla distribuzione degli aiuti umanitari e vedere delle immagini nelle quali, i militari fanno il tiro al bersaglio sulla popolazione civile, diventa imbarazzante per qualsiasi commentatore televisivo al quale, preventivamente, sia stato chiesto di rimanere neutrale.
Se a tutto questo ci aggiungete che a Gaza non entrano aiuti umanitari da 84 giorni e che, per quelle inezie di viveri autorizzati, vengono anticipatamente stabiliti orari e luogo di distribuzione dove, gioco forza, confluiscono centinaia di migliaia di disperati, spiegare le ragioni di Israele diventa difficile, soprattutto se quei disperati, anziché ricevere acqua, farina o riso ricevono pallottole. Un macabro gioco al massacro nel quale, l’ignominioso esercito israeliano, è diventato leader mondiale.
Nonostante questa palese evidenza, nella quale le immagini, anche per l’arroganza e la tracotanza di questi luridi aguzzini, rendono logicamente e moralmente impossibile giustificare Israele, anche questa settimana, a casa nostra, abbiamo dovuto assistere alle schifose elucubrazioni di giornalisti e direttori di giornali, che ci rimproverano di non parlare delle morti quotidiane dei militari israeliani.
Bene, anzi male, le nostre televisioni continuano ad ospitare e i nostri giornali continuano ad essere diretti o infarciti da questa gente da vomito.
Ma si può ospitare in televisione Edward Luttwak, che, senza imbarazzo e senza vergogna dichiara: «a Gaza neonati e bambini uccisi perché lanciano razzi».
O ancora, possiamo farci, uso un eufemismo, allegramente prendere in giro, dall’ambasciatore israeliano in Italia, Jonathan Peled, che dopo l’attacco alla Chiesa di Gaza sintetizza: «siamo dispiaciuti, non era intenzionale. Ci siamo già scusati». Tre morti, una decina di feriti e loro….si sono già scusati?
Da tempo, avremmo dovuto richiamare il nostro ambasciatore in Israele, avremmo dovuto cacciare quello israeliano e avremmo dovuto interrompere ogni rapporto con Israele, dichiarando la loro gente non gradita sul nostro territorio. Avremmo dovuto farlo per rispetto delle convenzioni internazionali, perché il primo ministro israeliano e ministri del suo Governo sono inseguiti dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra.
Non averlo fatto, ci rende complici del Genocidio più crudele della storia dell’Uomo. La richiesta dell’Italia, insieme ad altri 28 Paesi, per la fine della guerra a Gaza è una richiesta sterile, tardiva e quanto mai inutile. Dal 1947 ad oggi, Israele, se ne è altamente fottuta di centinaia di risoluzioni delle Nazioni Unite, figuriamoci se prenderanno in considerazione la nostra richiesta.
Con Israele servono solo sanzioni; dure, anzi, durissime. Bisognerebbe isolarla, stringergli attorno un cordone sanitario e bonificarla dalla peste dei nazisti che hanno in mano il loro parlamento. Lo hanno capito quelli della Conferenza internazionale di Bogotà sulla Palestina, dove 30 Paesi si sono riuniti per concertare misure concrete contro l’occupazione Israeliana della Palestina.
In 12 hanno messo nero su bianco per un immediato embargo su armi, munizioni e carburante destinato ad Israele.
L’iniziativa è aperta a tutti i Paesi fino al 20 settembre, non una data a caso; il 20 settembre inizia l’80° ciclo dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Una scadenza cruciale: la risoluzione dell’ONU impone agli stati membri di intraprendere azioni concrete per porre fine all’occupazione entro un anno dalla sua adozione – 18 settembre 2024 -. Entro quella data ogni Stato sarà chiamato a dimostrare la propria volontà a rispettare il Diritto Internazionale.
Ci troveremo di fronte alla Storia: o difenderemo i principi sui quali si sono fondate le nostre civiltà, che mirano alla pace e non alla guerra o assisteremo al collasso del diritto e delle democrazie e alla conseguente proliferazione delle plutocrazie, delle tirannie e delle barbarie.
Bentornato,
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