Fondi per le mense: quando il Sud porta a tavola i ritardi

È vero, il Sud è stato storicamente penalizzato da una politica che ha agevolato la “locomotiva” settentrionale anziché ridurre le disuguaglianze tra le diverse aree dell’Italia. A volte, però, un po’ di sana autocritica non guasta. E la vicenda dei progetti per la realizzazione delle mense scolastiche, finanziati con i fondi del Pnrr, lo dimostra concretamente. In un primo momento, infatti, le amministrazioni meridionali sembravano poco interessate a investire in un servizio che, invece, è di fondamentale importanza per i lavoratori.

Poi hanno invertito la rotta, probabilmente nel timore che la pubblicazione dei dati sul monitoraggio dei progetti li inchiodasse alle proprie responsabilità. Ma che cosa è successo? Il Pnrr ha destinato 960 milioni al potenziamento degli spazi per le mense scolastiche con l’obiettivo di aumentare l’offerta di istruzione a tempo pieno: un servizio indispensabile per consentire a tantissime donne di lavorare e quindi di alimentare il reddito delle rispettive famiglie e lo sviluppo del territorio.

Con il decreto 343 del 2021 ha previsto che quelle risorse fossero assegnate alle Regioni, per il 40 per cento, in base al criterio del gap infrastrutturale. Risultato: al Sud è andato il 57,7 per cento del totale, cioè 346 milioni. Peccato, però, che il valore dei progetti presentati dalle amministrazioni meridionali non abbia superato i 175 milioni, grosso modo la metà dei fondi disponibili.

La Basilicata, per esempio, ha presentato richieste solo per il 41 per cento delle risorse, mentre la Sicilia si è fermata al 15. Altre Regioni hanno beneficiato di una quota di fondi superiore alle risorse inizialmente a disposizione: è il caso della Puglia che ha utilizzato addirittura il 112,8 per cento di quel “tesoretto”. Le cause di performance deludenti come quella lucana sono da ricercare nella limitata capacità amministrativa, nella conseguente difficoltà a partecipare ai bandi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e nel fatto che troppi enti non percepiscono l’istruzione a tempo pieno come una priorità. Fatto sta che flop come quelli registrati in Basilicata e Sicilia non hanno fatto altro che avvantaggiare le Regioni del Nord, pronte ad accaparrarsi i fondi inutilizzati.

Lo scenario è mutato col decreto 144 del 2024 che ha disciplinato la gestione dei 515 milioni del Pnrr ancora disponibili per il potenziamento delle mense scolastiche. Come ha opportunamente rilevato Ferdinando Ferrara, esperto di politiche per lo sviluppo e consigliere della presidenza del Consiglio dei ministri, la nuova norma si è limitata a prevedere la clausola di riserva del 40 per cento dei fondi alle Regioni del Sud. Risultato? Abruzzo, Molise e Sardegna hanno avuto accesso a risorse maggiori rispetto a quelle di cui avrebbero potuto beneficiare sulla base del criterio del divario infrastrutturale. E la richiesta di fondi per le mense scolastiche è aumentata sensibilmente in Calabria e ulteriormente in Puglia.

A che cosa è dovuto il cambio di rotta? Secondo Ferrara, il monitoraggio mediatico dei progetti finanziati dal Pnrr ha spinto molte amministrazioni ad attivarsi non solo per non perdere l’occasione di realizzare le mense scolastiche, ma anche per scongiurare contraccolpi in termini di consenso inevitabilmente legati alla loro inerzia. L’altra ragione che può aver spinto le amministrazioni meridionali a presentare i progetti per il potenziamento della refezione scolastica è l’impennata del numero di famiglie che, nell’ultimo triennio, hanno chiesto il tempo pieno per i propri figli iscritti alla scuola primaria: salita al 13,9 per cento in Basilicata e addirittura al 40,7 per cento in Puglia.

Quale che sia la causa di questa inversione di tendenza, sono due le lezioni che il Mezzogiorno può trarre dalla vicenda appena descritta. La prima: non si può puntare il dito contro il Nord “vorace” e il Governo “insensibile” quando poi non si sfruttano le opportunità per potenziare servizi che, nel caso delle mense, sono fondamentali per consentire alle donne di lavorare, alimentare lo sviluppo economico, diffondere la cultura della sana alimentazione, abbattere la dispersione scolastica e ridurre le disuguaglianze tra le diverse aree del Paese.

La seconda lezione è altrettanto evidente: il monitoraggio mediatico dell’attuazione del Pnrr è uno stimolo imprescindibile per far sì che le amministrazioni si attivino, tanto che sarebbe opportuno estenderlo anche alla gestione delle risorse dei fondi di coesione per la spesa delle quali il Sud storicamente non brilla. Qualcuno dovrebbe ricordarsene, stavolta non solo a Roma.

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