Piazza Vincenzo Nigri a Foggia ha ricevuto il trattamento che si merita: fioriere in acciaio corten. Contenitori decisamente brutti, in ruggine apparente, tonalità marroni/arancioni che mal si armonizzano con l’ambiente circostante. Esteticamente facile associarle a cassoni di cantieri, depositi o fabbriche. Un’eleganza industriale che dà una sensazione di freddezza quando non di trascuratezza anche se ingentilite da piante autoctone e qualche arbusto piazzato con la precisione di chi gioca a Tetris. Il risultato? Un colpo d’occhio così «moderno urbano» che persino Palazzo Celentano a poche decine di metri, con i suoi secoli di resistenza stoica, sembra chiedersi: «Ma io chi sono in tutto questo?» Parte viva del centro storico, con edifici che resistono da secoli l’antico immobile è ancora lì, a fare da testimone di un’epoca in cui non esistevano fioriere aliene.
Ma tranquilli: il verde vince sempre, e il corten fa molto moderno urbano, mentre le vecchie pietre storiche… beh, quelle possono aspettare. E parlando di attualità urbana: sì, certo, la pedonalizzazione completa dell’area sarebbe auspicabile. Sarebbe bello passeggiare senza zigzagare tra auto in sosta selvaggia e moto parcheggiate su marciapiedi. Ma nel frattempo, le fioriere fanno da barriera naturale, un progetto di «pedonalizzazione simbolica». Peccato però il colore sbiadito degli edifici storici, le facciate da restaurare e il declino di molte zone. Ad esempio piazza Baldassarre: un piccolo cimitero urbano di polvere, cartacce e arredi disfatti. E ancora la piazza accanto alle sedi dell’Università, dominata da quella famosa scultura a costole che lascia perplessi anche i più ottimisti: un monumento all’arte moderna o un promemoria per un elogio alla bruttezza? Il dibattito è aperto. Intanto si imbragano palazzi a rischio crollo. Via Arpi è una strada che non può più sopportare il pesante flusso di traffico che, per le sue sollecitazioni, mette a rischio la stabilità di molti edifici, oltre ad essere la zona probabilmente più inquinata della città proprio a causa del sostenuto traffico veicolare. A ciò si aggiunge la pavimentazione della strada e dei marciapiedi, così malridotti da sembrare un test segreto di sopravvivenza urbana: ogni passo è un’avventura, e salvarsi una caviglia è ormai questione di fortuna… o di allenamento da equilibrista. Ma godiamoci le fioriere in acciaio corten, gli arbusti autoctoni e le piante ornamentali dal nome esotico quanto impronunciabile. Cubi arrugginiti sbocciano mentre le testimonianze storiche resistono come possono, tra facciate sbiadite, edifici abbandonati e sculture discutibili.
Il vero miracolo urbano sarebbe un progetto che unisse verde, pedonalità e restauro storico, magari con un piano colore e interventi seri di manutenzione urbana o almeno a un po’ di pulizia. Intanto l’acciaio corten ha preso il potere. Laddove un tempo si parlava di restauro, di armonia, di identità storica, oggi troneggiano blocchi di metallo arrugginito che dichiarano con fierezza la loro modernità “da cantiere permanente”. È la vittoria dell’estetica dell’abbandono ben confezionato, della ruggine come scelta di design. Del resto, c’è del poetico in tutto questo: i secoli passano, le pietre si sbriciolano, ma la ruggine rimane. Le fioriere si ossideranno, le piante forse moriranno d’estate o d’indifferenza o più probabilmente di vandalismo, ma almeno, per un breve periodo, potremo dire di vivere in una piazza al passo coi tempi, dove il tempo stesso sembra aver gettato la spugna.
E chissà, magari tra qualche decennio i turisti si fermeranno a contemplare queste fioriere con la stessa reverenza con cui oggi guardiamo un capitello antico: «Ecco, qui iniziò la stagione del corten. L’inizio della fine, ma con stile». Noi cittadini possiamo solo passeggiare tra una buca e una fioriera, schivando auto e nostalgia, consolandoci con l’idea che almeno qualcosa, in questa città, continua a crescere: la ruggine.













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