La Corte Costituzionale ha detto una parola chiara sul fine vita, mentre il Parlamento, finalmente d’accordo sul fatto che si debba intervenire ma tuttora discorde sul come, ha rimandato a settembre ogni eventuale decisione sulla legge da varare.
Riepiloghiamo. Dj Fabo, ossia Fabiano Antoniani, era un giovane rimasto vittima di un incidente che non si sentiva più di sopravvivere dipendendo totalmente da altri ed era stato accompagnato a suicidarsi in Svizzera – dove tale pratica è legale – dall’esponente radicale Marco Cappato, che poi, tornato in Italia, si era autodenunciato per aver commesso questo reato al fine di aprire una discussione.
La Corte, investita del dubbio che anche in queste condizioni del malato persista un illecito penale, mentre il principio costituzionale in materia di cure mediche è l’autodeterminazione ed è dunque un diritto rifiutarle, aveva rimandato di un anno la decisione (qui, però, si è oltre il rifiuto di cura, perché ci si chiede se sia lecito un intervento attivo per sopprimersi), per consentire di approvare nel frattempo una legge specifica. Di fronte all’inerzia del Parlamento, aveva allora sentenziato che la vita va sempre rispettata, specialmente in condizioni di fragilità; allo stesso tempo, se un soggetto non ce la fa più a vivere, soffre indicibilmente, la sua malattia è incurabile e dipende da strumenti di sostegno vitale e, consapevole delle conseguenze, chiede di essere aiutato a morire, allora (previo parere di un comitato etico locale) il suo desiderio va accolto perché ognuno è giudice inappellabile della soglia oltre la quale non ritiene di conservare la propria dignità personale. Successivamente la Consulta ha poi precisato con un’altra sentenza che tra gli strumenti di sostegno vitale va compreso anche l’aiuto umano, quello del cosiddetto “caregiver”.
Nell’inerzia delle Camere – per una volta da non biasimare perché pigre: è la decisione sul punto a essere difficile – i Radicali dell’associazione “Luca Coscioni”, impegnati a favore dell’eutanasia, hanno seguito due strade: chiedere un referendum popolare che depenalizzasse l’omicidio del consenziente, abrogando parte della disposizione che lo vieta (la Corte ha detto no: troppo vaghe e pericolose le conseguenze del moncone dell’articolo 579 del codice penale che sarebbe rimasto in piedi) e spingere le Regioni ad approvare leggi – finora l’ha fatto solo la Toscana – per sostituire quella mancante dello Stato e qui la Corte ancora non si è espressa, ma non si può innescare una gara fra loro a chi sia “più Svizzera di un’altra”.
La recente decisione della Consulta interviene sul caso di una signora che si trova nelle medesime condizioni di dj Fabo, ma non è nemmeno in grado di procurarsi la morte perché, essendo paralizzata dal collo in giù, ha bisogno dell’aiuto altrui: omicidio del consenziente, appunto. Il motivo della decisione è che non si è esplorata innanzitutto la strada della reperibilità di strumenti azionabili con lo sguardo o la voce, ma dall’interessata medesima: assistenza dunque al suicidio, non intervento omicidiario di terzi.
Uno stop a derive eutanasiche, ma anche all’estromissione del servizio sanitario nazionale, la cui presenza la Corte giudica invece essenziale, al contrario di quanto fanno alcune proposte che pendono in Parlamento. Di fronte al momento più difficile della vita – quello di scegliere la fine – proprio il rispetto della dignità della persona esige che nello spazio nel quale campeggia la sua volontà entri anche l’altrui “cura” psicologica verso di essa e i familiari, come espressione di solidarietà nell’accompagnamento a un esito non evitabile e di rifiuto della “cultura dello scarto umano”, spazzatura da smaltire fra i residui organici.
Bentornato,
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