Che ne è del PNRR? Doveva essere il nuovo Piano Marshall per rilanciare l’economia europea messa in ginocchio dalla pandemia e, in Italia, doveva essere il potente strumento per ridurre il divario Nord-Sud (con il vincolo del 40% delle risorse da assegnare al Mezzogiorno).
Affidato nelle sagge mani di Mario Draghi (l’unico italiano affidabile per Bruxelles) a capo di un governo di unità nazionale (che si disse “dei migliori”) nessuno poteva dubitare che il PNRR sarebbe stato attuato nel “migliore” dei modi. E invece qualcosa è andato storto: lo shock inflazionistico, inizialmente provocato dalla crisi delle catene logistiche spezzate dal lockdown e poi acuito dalla guerra in Ucraina e dalla crisi energetica, ha causato un sensibile aumento dei costi in condizioni di mercato radicalmente mutate, mentre il governo del garante Draghi ha ceduto il passo all’unica forza politica (Fratelli d’Italia) che non lo aveva appoggiato (e che in Parlamento Europeo non aveva mai mostrato grande entusiasmo per il Piano).
Tutto lo scenario è quindi mutato e certo non poteva restare intatto il Piano e così il nuovo governo ci ha messo le mani, a modo suo, ovviamente. Il risultato di questa revisione non è ancora del tutto chiaro, ed è rivelato a pezzi e bocconi, come un segreto esoterico. Di certo l’Italia ha ricevuto fino ad ora 102,5 miliardi di euro sui 194,4 complessivi. La distribuzione dei fondi sulle sette missioni (alle sei originarie, è stata aggiunta in seguito alla crisi energetica, la missione RePower EU) ha privilegiato la digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo (12,8% di risorse assegnate), le infrastrutture di trasporto (11,7%), la transizione energetica e la mobilità locale sostenibile (11,3%).
Molte misure sono state cancellate o definanziate per la difficoltà di realizzarle entro il termine previsto per la fine del 2026. I settori che hanno subito la maggior riduzione dei finanziamenti, e quindi rivelato le maggiori criticità di attuazione, sono stati: la tutela del territorio e della valorizzazione delle risorse idriche (29% di riduzione, circa 6 miliardi sottratti ai comuni), le infrastrutture (15,3%, circa 1 miliardo sottratto alla alta velocità e al miglioramento della rete ferroviaria locale per il Sud, penalizzati anche trasporto marittimo e porti), il diritto allo studio (7,4%, circa 1 miliardo sottratto agli asili nido, 228 milioni sottratti alla didattica universitaria). Il comparto più negativo è quello della coesione territoriale a cui è stato destinato lo 0,45% delle risorse totali del Piano, mentre la percentuale era dell’1% circa nel piano originario (a cui sono stati sottratti 725 milioni per le infrastrutture sociali, 300 milioni per i beni confiscati alle mafia e 66 milioni per le zone economiche speciali). Un saldo negativo di 750 milioni presenta anche la sanità, un settore che è in grande sofferenza (sono stati ridotti di 510 milioni gli interventi strutturali sugli ospedali, originariamente fissati a 1.450 milioni).
Il governo con una mano ha tolto e con l’altra ha dato, scegliendo di rifinanziare alcuni settori, in particolare la competitività del settore produttivo (12% del rifinanziamento totale) e l’impresa verde e l’economia circolare (11,7%). Il denaro sottratto alle infrastrutture ferroviarie del Sud è andato al Nord con il finanziamento delle linee alta velocità Brescia-Padova e Liguria-Alpi (circa 1 miliardo).
In sintesi la revisione del governo ha incrementato i sussidi a favore delle imprese di oltre 11 miliardi di euro sottraendoli agli investimenti pubblici in infrastrutture. Al Mezzogiorno dovevano andare 75 miliardi, ai quali si aggiungevano altri 11 del Fondo complementare, ma la cifra oggi dovrebbe essere ridotta, in quando i definanziamenti hanno soprattutto riguardato gli investimenti sui territori. I criteri di ripartizione stabiliti dal governo Draghi per una quota rilevante di risorse sono stati basati su bandi competitivi emanati dalle Amministrazioni Centrali, dagli Enti Locali o da altre istituzione pubbliche, ed è chiaro che la fragile struttura burocratica del Mezzogiorno è stata fortemente svantaggiata in partenza.
Certo è che il PNRR sta favorendo una ulteriore concentrazione delle attività produttive più innovative nel Centro Nord e non appare scontato che quel 40% di risorse destinate al Sud per forza di legge sarà in grado di attivare processi innovativi di sviluppo che solo una organica pianificazione territoriale, sul modello dell’intervento straordinario, avrebbe potuto garantire. Una questione meridionale esiste anche nel PNRR.
Bentornato,
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