Papa Leone XIV, non incarnerà. C’è una rivoluzione da guidare o da subire nel mondo. È quella della tecnologia quantistica, degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale che promettono di azzerare il lavoro e distruggere il mercato del lavoro per come lo abbiamo sin qui conosciuto. È lo stesso pontefice a togliere ogni dubbio chiarendo il motivo della scelta di quel nome, Leone XIV, che si inserisce nel solco della dottrina sociale della Chiesa.
Roba da far tremare i polsi, al pari della sfida palingenetica che la Chiesa e il papa con quel nome dovranno lanciare al mondo, ai popoli e ai potenti. Perché le due questioni – rivoluzione tecnologica quantistica e destino dei popoli – si tengono insieme e dalla loro declinazione discende il destino delle comunità e degli individui ma anche quello dell’Umanità intera. Non solo a esse se ne aggiunge una terza: la redistribuzione della ricchezza, sempre più concentrata in poche mani, tra i popoli e gli individui da un lato e la popolazione mondiale dall’altro. Insomma, il progresso del mondo e nel mondo è interamente legato al modo in cui la rivoluzione della tecnologia quantistica che ha prodotto e alimenta l’esplosione dell’intelligenza artificiale, impatterà per un verso sul destino degli individui e dei popoli e per l’altro sulla volontà degli Stati, intesi nella loro dimensione nazionale e planetaria, e sui nuovi, necessari e indispensabili meccanismi di redistribuzione della ricchezza.
Nessuna rivoluzione del lavoro e nessuna riformulazione della dottrina del progresso umano potrà essere elaborata se non si affrontano, in una visione sistemica, questi aspetti.
Nel mondo post globalizzazione l’economia domina la politica. I potenti, in numero sempre più limitato e in termini sempre più aggressivi, controllano gli Stati e soprattutto le grandi Nazioni, e queste a loro volta si combattono per controllare il pianeta. Anche la democrazia per come l’abbiamo sin qui conosciuta mostra evidenti segni di logoramento legati all’incapacità di gestire tali fenomeni mentre, in contrapposizione e sempre più aggressivo, si riaffacciano nazionalismo e deriva autoritaria. Non siamo più alla rivoluzione industriale con cui dovette fare i conti Leone XIII. È preistoria, quella.
Alla fine del 19esimo secolo la meccanizzazione della produzione industriale aveva raggiunto livelli di sfruttamento disumano non più tollerabili. I movimenti socialisti e quello comunista promettevano rivolte ovunque mentre filosofi ed economisti avevano costruito un sistema di pensiero e di valori che aveva decodificato e destrutturato il concetto di proprietà privata a fini produttivi e aveva elaborato la dottrina del collettivismo in contrapposizione al capitalismo. Il mondo intero rischiava di esplodere. La Chiesa non poteva più tacere, il Vangelo la costringeva a schierarsi con gli ultimi che si affidavano alle idee socialiste e comuniste. Ed arrivò Leone XIII che con la “Rerum Novarum” rimise le cose a posto. Almeno dal punto dottrinale. Perché le spinte rivoluzionarie continuarono a montare e sarebbero esplose con tutto quel che ne seguì. Ma la Chiesa aveva posto le basi dottrinali per il superamento di quel conflitto e furono basi solide se esse superarono le aberrazioni fasciste, nazionaliste e comuniste.
La “Rerum Novarum” partì dal riconoscimento della dignità del lavoro e dei lavoratori e sancì i diritti di questi come inviolabili e inalienabili. Poi andò oltre. Rifiutando ogni deriva violenta teorizzò la collaborazione tra capitale e lavoro, tra capitalisti e lavoratori tutti chiamati a operare per il progresso comune. Sarebbe emerso così il ruolo attivo dello Stato come regolatore e programmatore dello sviluppo economico e sociale dei popoli che in Keynes, a distanza di decenni, avrebbe trovato la sintesi laica più elevata. Sul piano sociale nasceva l’interclassismo. Non la contrapposizione ma l’integrazione tra capitalisti e lavoratori, chiamati entrambi a promuovere l’elevazione degli individui e il progresso sociale in uno con lo sviluppo di popoli e nazioni. E questa fu una vera rivoluzione. L’Occidente si riconobbe in essa e su di essa costruì il suo percorso di sviluppo sfociato nello Stato sociale. Lo Stato, appunto, diventava il soggetto super partes che provvedeva alla redistribuzione del surplus della ricchezza prodotta in termini di servizi ai cittadini. Il lavoro diventava il motore dello sviluppo e lo snodo della società, il capitale, dal canto suo, assumeva anch’esso un ruolo sociale. Venivano riconosciute le sue prerogative, la proprietà privata veniva assunta come un valore ma in un quadro di forte proiezione sociale. In Italia Enrico Mattei, sul versante cattolico, e Adriano Olivetti, sul versante laico, furono i campioni della nuova dimensione del capitalismo sociale mentre sindacati e padroni impararono a convivere e cooperare.
Poi arrivò il Concilio Vaticano Secondo. Papa Giovanni XXIII promulgò la sua “Pacem in Terris” in cui schierava la Chiesa dalla parte dei popoli e degli uomini in cammino e sollecitava la pace come condizione necessaria e irrinunciabile per il progresso dei popoli. Era ormai in piena esplosione la guerra fredda e all’orizzonte si stagliò minacciosa la guerra nucleare disinnescata proprio da quel Papa che fornì a Kennedy e a Chruščëv la forza e le motivazioni per fermarsi. Quindi arrivò la “Populorum Progressio” di Paolo VI. Riprendendo la “Pacem in terris”, egli pose in luce che senza cooperazione internazionale basata sul rispetto dei diritti dei popoli non vi poteva essere progresso e questo doveva avvenire sulla base del rifiuto del neocolonialismo e dell’imperialismo ovunque debordanti. In Italia erano morti sia Mattei che Olivetti. Nel mondo prendeva avvio la globalizzazione, tuttavia in uno spirito di rapina che diffondeva povertà e sfruttamento laddove contrabbandava promesse di sviluppo. La formulazione di Papa Paolo VI era anch’essa un’idea rivoluzionaria che, ahimè, non sortì grandi adesioni. Il mondo occidentale sempre più correva verso la deriva consumistica che concentrava ricchezze e diffondeva povertà. La Russia sovietica prometteva di implodere e la Cina comunista procedeva nella sua lunga marcia isolandosi dal e nel mondo.
Ed arrivò Giovanni Paolo II. Nel 1991 egli elaborò la “Centesimus annus”, nella ricorrenza del centesimo anniversario della “Rerum Novarum”. Il papa polacco riproponendo i valori affermati da Leone XIII stigmatizzava le incongruenze delle economie socialiste e delle economie di mercato che provocavano l’arretramento del mondo nel suo complesso oltre che le sofferenze. Il pontefice sottolineava come il capitalismo aveva provocato un insopportabile indebitamento dei Paesi arretrati che pure avevano sperato nella via d’uscita della globalizzazione. Azzeramento del debito dei Paesi poveri e disarmo venivano indicate come condizioni irrinunciabili per rimettere sulla giusta carreggiata il mondo ed assicurare allo stesso Occidente prospettive di pace. Con papa Benedetto XVI, poi, mise in guardia la Chiesa e il mondo dalla deriva edonista e relativista che si traduceva nella scelta cinica e nichilista degli individui protesi a cercare esclusivamente il proprio tornaconto. Papa Francesco, ancora, schierò la Chiesa dalla parte dell’umanità povera e sofferente contro i potenti, la violenza della guerra e la distruzione del mondo invocando pace e disarmo. Il monito di papa Ratzinger non fu preso sul serio dal popolo e la sofferta passione di papa Francesco venne derisa dai potenti.
Liquidato il primo come preoccupazione di un Papa teologo troppo orientato a salvaguardare l’ortodossia della chiesa e la seconda come velleitaria pulsione di un Papa troppo preso dal suo amore per un’umanità distante dalla realtà, essi sono oggi lo specchio in cui si riflette lo scivolamento del mondo verso la guerra totale, la violenza gratuita, i genocidi da un lato e la concentrazione abnorme ed irrimediabile della ricchezza in una classe di magnati ed oligarchi che controllano ovunque il potere, nei santuari capitalisti delle nazioni occidentali, nei santuari comunisti cinesi e nelle stanze della dittatura postsovietica.
In questa tempesta senza stelle e senza bussola arriva papa Leone XIV che, per sua stessa ammissione, intende lanciare la sfida per un nuovo ordine mondiale basato sulla virtuosa gestione della rivoluzione dell’intelligenza artificiale che a sua volta promette di azzerare il lavoro e la stessa organizzazione sociale per come li abbiamo sin qui conosciuti. Un compito arduo, visto che l’intelligenza artificiale basata sugli algoritmi quantistici che a loro volta dominano la tecnica e orientano la tecnologia rendendo inutile il lavoro e la società basata su di esso sono nelle mani delle caste di magnati e gerarchi che dominano le potenze mondiali: quelle economiche, Usa e Cina, e quelle militari, Russia in testa.
Il nuovo pontefice ha certamente compreso che lo snodo per un futuro di pace e di progresso per il mondo intero passa dalla “rivoluzione quantistica”. Le fabbriche gradualmente si svuoteranno. La produzione diverrà sempre più il risultato dell’applicazione dell’intelligenza artificiale. La nuova società avrà sempre più bisogno di professionalità altissime per gestire processi che dispongono di basi algoritmiche, robotiche e androidali che limiteranno il lavoro manuale e renderanno obsolete anche le relazioni interpersonali. Paradossalmente l’intelligenza artificiale accelererà il percorso di liberazione degli uomini dal lavoro manuale. Lo aveva previsto anche Marx che affidava al comunismo e al socialismo la liberazione dei lavoratori dalla schiavitù del lavoro. Al momento l’unica via d’uscita che sembra voglia praticare il potere ipercapitalista che domina il mondo è quella dell’assistenzialismo sociale. Al popolo, impoverito e impaurito, incattivito e privato di ogni consapevolezza critica e culturale, viene garantita la sopravvivenza in cambio dell’accettazione di un lavoro massificante e mal pagato in uno con il consenso al nuovo modello, autoritario e oppressivo, del potere costituito. È con questo modello che la rivoluzione prossima ventura, sollecitata se non imposta dall’intelligenza artificiale e dal potere che la gestisce, dovrà fare i conti. Come potrà essere democratizzato il potere e bloccata la deriva autoritaria e come potranno e dovranno, il popolo e gli individui estromessi da ogni processo decisionale e lavorativo, essere recuperati e, infine, come dovrà la ricchezza accumulata essere redistribuita? Quale è come sarà, se esisterà, il nuovo Stato sociale? La pace disarmata dei pacifici saprà disarmare i violenti che dominano il mondo? A Papa Leone XIV, che si accinge all’impresa, va tutto l’affetto e il sostegno dei poveri di spirito che tuttavia dovranno interessarsi del regno in terra non potendo aspettare il regno dei cieli mentre quello va a fuoco. Ne va della sopravvivenza dell’Umanità.
Bentornato,
Registratiaccedi al tuo account
Tutte le news di Puglia e Basilicata a portata di click!