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Gli esami di stato sono vicini: verso una cultura valutativa più inclusiva e formativa

Con la fine dell’anno scolastico ormai vicina e gli Esami di Stato alle porte, il tema della valutazione torna prepotentemente al centro dell’attenzione di docenti, studenti e famiglie. È un momento cruciale, in cui si tirano le somme di un percorso formativo, ma anche e soprattutto in cui si riflette sul senso e sulle modalità con cui quel percorso viene misurato e riconosciuto.

Mentre l’intelligenza artificiale ridisegna l’organizzazione del lavoro e la comunicazione, mentre la pedagogia parla di competenze, personalizzazione dei percorsi di apprendimento e benessere psico-fisico, ampi settori della scuola italiana restano ancorate a pratiche valutative obsolete, come l’interrogazione tradizionale: un rito che si consuma tra il banco e la cattedra, con studenti ansiosi e tremanti in attesa del loro turno.

C’è da chiedersi se l’interrogazione tradizionale sia davvero ancora lo strumento migliore per valutare gli apprendimenti degli studenti. Nelle settimane scolastiche, una quota rilevante del monte ore previsto per ogni disciplina d’insegnamento è assorbita da interrogazioni orali ripetitive, spesso a tappeto, che lasciano poco spazio alla didattica attiva, al laboratorio, alla riflessione condivisa, sottraendo tempo al vero fare scuola: progettare, esplorare, dialogare, riflettere. In molte classi, metà del tempo è dedicata alle interrogazioni, mentre l’altra metà è spesso erosa da imprevisti strutturali: assemblee, scioperi, malattie, adempimenti burocratici e assenze. Risultato? Poco spazio per insegnare davvero, per guidare, motivare, educare.

Siamo certi che l’unico modo per valutare le conoscenze e le competenze di uno studente sia tenerlo in piedi, sotto pressione davanti a una cattedra, in un contesto che spesso assomiglia più a un interrogatorio giudiziario che a un luogo di apprendimento? L’interrogazione è spesso vissuta come un momento di verifica punitivo, più vicino a una logica da quiz televisivo che a un’autentica occasione di crescita. L’interrogazione tradizionale ha perso sempre più il suo significato formativo. Si è trasformata in un rituale che genera ansia, timore, sensazione di inadeguatezza, demotivazione e, nei casi peggiori, disistima e rifiuto scolastico, piuttosto che motivazione, fiducia, desiderio di approfondire.

La valutazione, in tal modo, si allontana dalla sua funzione pedagogica e si fa “giudizio”, spesso sommario e parziale, poco attenta al processo di insegnamento-apprendimento, considerato che si tratta di un processo unico, dove entrambi i soggetti, il docente e il discente, insegnano e apprendono contemporaneamente.

Dov’è finito quel “terzo livello” della funzione docente di cui all’art. 395 co. 1 del D. Lgs. n. 297/1994, laddove, dopo l’assunto che essa “è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa”, si parla di “impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”? Come conciliare questa missione con una pratica valutativa che spesso scoraggia la partecipazione e mortifica il pensiero critico? Eppure, sappiamo bene che l’apprendimento è un processo non lineare, che ha bisogno di contesti di fiducia, di tempi distesi, di errori che siano accolti come occasioni di riflessione, non come colpe suscettibili di “sanzioni”.

La ricerca pedagogica e le esperienze didattiche più innovative ci indicano altre strade di pratiche valutative; hanno messo in luce strumenti più coerenti con la scuola del XXI secolo. Studiosi come Dylan Wiliam (con la sua “formative assessment”), John Hattie (Visible Learning), David Ausubel (The Psychology of Meaningful Learning: An Introduction to School Learning), ma anche approcci pedagogici di lunga tradizione (Maria Montessori, Célestin Freinet, Jerome Bruner), ci mostrano che la valutazione può e deve essere un processo continuo, dialogico, costruttivo.

La didattica moderna offre molti efficaci e coerenti strumenti, fra i quali: compiti autentici (presentazioni, simulazioni, progetti concreti che connettono il sapere scolastico alla realtà e che coinvolgono, in un apprendimento significativo, competenze disciplinari e trasversali); rubriche valutative trasparenti (costruite insieme agli studenti, per orientare il lavoro e facilitare l’autovalutazione); osservazioni sistematiche durante il lavoro individuale o di gruppo, con attenzione ai processi oltre che ai risultati, con attenzione a come uno studente affronta un problema, organizza il pensiero, interagisce nel gruppo; colloqui individuali brevi, ma mirati, nei quali l’alunno può esprimersi con più tranquillità e consapevolezza, in contesti sereni e non giudicanti; test strutturati e semi-strutturati per rilevare conoscenze in modo oggettivo e comparabile; portfolio, mappe concettuali, diari di bordo, come strumenti di documentazione e riflessione metacognitiva.

Cambiare paradigma valutativo, in sostanza, non significa rinunciare all’esigenza di monitorare e certificare gli apprendimenti, ma significa farlo con strumenti più rispettosi della persona, più aderenti ai processi reali e, soprattutto, più in grado di motivare e orientare. Valutare dovrebbe essere un modo per aiutare gli studenti a conoscersi, a migliorare, a diventare consapevoli.

In una scuola che si dichiara inclusiva, ha ancora senso perseverare in pratiche che escludono, che premiano la performance momentanea, le capacità di memorizzazione e penalizzano chi ha più difficoltà nel gestire l’ansia, o chi ha uno stile cognitivo non verbale? “Giocare bene” il gioco dell’interrogazione? Forse è arrivato il momento di interrogare il sistema delle interrogazioni: chiederci davvero se tale sistema risponde ai bisogni formativi dei nostri studenti, se è coerente con gli obiettivi di una scuola che vuole preparare al futuro, e se non sia il caso di ripensare il sistema delle verifiche orali, e trasformare le interrogazioni tradizionali in qualcosa di più utile, più educativo.

Non si tratta di abolire la valutazione orale, ma di riconfigurarla: meno rituale e più strumento di crescita, meno controllo e più alleanza educativa. Oggi gli organi collegiali della scuola hanno a disposizione tutti gli strumenti per qualificare al meglio l’offerta formativa della scuola. Grazie all’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo di cui godono le istituzioni scolastiche, è possibile definire proposte operative più efficaci, quali: avviare una sperimentazione interna sull’uso di rubriche di osservazione in sostituzione di parte delle interrogazioni orali; promuovere moduli di formazione interna sulla valutazione formativa, anche attraverso micro-comunità di pratica; per sviluppare un documento condiviso di indirizzo sulla valutazione, per armonizzare criteri e strumenti tra docenti; coinvolgere gli studenti nella costruzione dei criteri di valutazione, attraverso momenti di co-progettazione.
Valutare non è o non dovrebbe essere solo “mettere un voto”.

Valutare è accompagnare l’apprendimento, dare strumenti per capire, riflettere, migliorare; è riconoscere le potenzialità di ogni studente, anche quelle che non emergono in un’interrogazione a sorpresa.

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