È proprio lui lo stesso Gesù che nel vangelo di Matteo ci chiede, tra le tante miserie umane, di andare a visitarlo in carcere che oggi ci dice, mi avete trovato morto. Proprio lui, nel volto di coloro che vengono arrestati, condannati, inchiodati su una croce fatta di muri, sbarre e cancelli, anche loro uccisi e lasciati morire dalla violenza di una istituzione “di potere”, che troppo spesso pensando alla pena da fare espiare dimentica l’umano da salvare.
In realtà il carcere è una struttura antiumana e per questo è anti cristiana. Non credo che esistono i problemi del carcere perché il carcere è il problema, non è solo inutile, vista l’enorme recidiva che produce, ma genera il male per chi sta dentro e ci muore sia fisicamente: suicidi, morti sospette, autolesionismo. Sia mentalmente; il 30 per cento delle persone detenute ha problemi psichici, mentre un altro 32 per cento è tossicodipendente. Genera male anche per chi sta fuori, la società che si vede ingannata dal carcere, risposta fallimentare alla sua giusta domanda di sicurezza. Ogni volta che nelle carceri accadono tragedie come “morti sospette” omicidi, suicidi si va alla ricerca delle motivazioni e sembra che questi drammi, dopo che hanno fatto notizia per un paio di giorni, svaniscono in attesa del prossimo annuncio di morte per carcere.
Ci siamo abituati a fare statistiche delle morti e dei suicidi nelle carceri. Purtroppo i carcerati sono vite di serie B come i migranti, i senza fissa dimora anche questi fanno notizia quando muoiono in mare, o per il freddo, o come i carcerati per “morti sospette” o per suicidio. Ogni morte che accade in carcere avrebbe bisogno di un processo e di condanne esemplari, bisogna che qualcuno si decida ad “arrestare il carcere” perché è socialmente pericoloso. Non mi va di entrare nei meandri dei problemi del carcere perché ormai sono sempre più convinto che il carcere è il problema.
E non sono certo le passerelle dei ministri o le caserme dismesse da usare come carceri la soluzione al problema. La propaganda politica serve solo a perpetuare un sistema che è contro l’uomo unica risposta che sa dare una giustizia malata, farisaica, e vendicativa, che produce recidive spaventose e inganna la giusta domanda di sicurezza della società.
Subito dopo i morti di carcere vengono deposti dalle loro croci e posti sul freddo marmo di un obitorio in attesa dell’autopsia. Non ci saranno donne che andranno “al sepolcro” per ungere il loro corpo, come ultimo atto di compassione e di dignità umana, ma qualcuno sicuramente piangerà, qualcuno che li ha conosciuti e voluti bene, per loro era uomini, fratelli, figli, amici. Per gli altri notizie da dare, per la giustizia umana prima reati da espiare, poi casi da chiarire. Ma per me e per te che ti dici cristiano non possono che essere quel Gesù che ci dice ancora, io ero lì e tu dove eri?
A questa domanda non si può rispondere solo con un servizio da svolgere all’interno della struttura carcere, io amo dire ai volontari che si recano nel carcere che noi non andiamo li per i detenuti ma con i detenuti, è questo quello che ci qualifica nel nostro compito, è questo essere “con”, che ci fa guardare con occhio critico questa istituzione, e con occhi di misericordia coloro che vivono il tempo del carcere subendo una pena che non è solo la mancanza della libertà ma diventa mancanza di dignità, dove i diritti fondamentali vengono quotidianamente calpestati. Rispondere alla richiesta di Gesù “ero in carcere e sei venuto a visitami” significa quindi lottare affinché il carcere diventi l’extrema ratio cioè serva a fermare un atto di violenza a rendere innocuo per un breve tempo, colui che commette un reato, ma poi subito dopo inserire il colpevole in un percorso serio di rieducazione e reinserimento sociale, come richiede la costituzione, e come il carcere non fa e non può fare.
Don Franco Esposito è cappellano del carcere di Poggioreale (Napoli)