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Solo l’intelligenza umana sa affrontare le incertezze: ecco perché l’IA non potrà superarla

Un umano è un organismo vivente che nasce attraverso la riproduzione sessuale e, dopo un periodo di vita, variabile per ciascun individuo e comunque limitato, muore, come tutti i viventi. Ha un corpo di cui è consapevole, ossia è autocosciente e possiede un dispositivo biologico e culturale potentissimo: il linguaggio, che gli permette di conversare con altri umani, di mentire e negare, di pregare e ingiuriare, di comandare e obbedire, di sedurre e manipolare, di inventare storie con personaggi e luoghi inesistenti. Ha una mente che non è solo il suo cervello: un organo necessario, certo, ma non sufficiente, poiché la mente è tra i soggetti umani che, reciprocamente, si riconoscono.

Noi siamo esseri sociali, a volte socievoli, e viviamo immersi, costantemente, in stati emotivi: quando asseriamo di essere emozionati è perché l’intensità, il tono di quell’emozione è particolarmente avvolgente, come lo sono, per esempio, rabbia e gioia, paura e impeto passionale. Le nostre decisioni molto spesso sono assunte in contesti incerti e situazioni ambigue che non hanno soluzioni intrinsecamente corrette. In questi casi emozioni e sentimenti svolgono un ruolo fondamentale spingendoci a non rinviare le decisioni quando è preferibile decidere velocemente. Non solo, intrecciandosi con logica e razionalità, ci aiutano ad assumere decisioni più efficaci.

Sin dall’inizio della nostra esistenza come specie, usiamo strumenti, attrezzi e protesi che ci permettono di estendere la nostra capacità di potenza e di trasformazione del mondo: dal bastone all’aereo supersonico, dal libro alle armi atomiche. Insomma siamo animali tecnologici. Da alcuni decenni disponiamo anche dell’Intelligenza artificiale (Ia). E così come è accaduto per altre tecnologie che hanno influenzato notevolmente la storia umana – si pensi alla introduzione della scrittura e all’invenzione della stampa – l’Ia ci divide in suoi detrattori e sostenitori o, come avrebbe detto Umberto Eco, in apocalittici e integrati.

L’intelligenza artificiale è un meccanismo sofisticato e potente, tuttavia non è un organismo: non ha, né potrà avere, le caratteristiche di un vivente umano, come quelle che ho descritto inizialmente. Può invece accumulare dati, informazioni, interi campi del sapere, mostrare una portentosa precisione di calcolo e “generare” informazioni nuove in relazione alle istruzioni (algoritmi) che riceve. L’Ia batte a scacchi i giocatori umani più forti, riconosce volti e voci a condizione che regole e giochi siano ben definiti e i contesti relativamente stabili. Può scrivere testi, con ChatGpt, molto simili a quelli che scriverebbe una mano umana, con una differenza sostanziale: il meccanismo dell’Ia non comprende, letteralmente, le domande che gli vengono formulate, cioè non pensa come un umano, genera parole e frasi correlate probabilisticamente con i dati e le informazioni possedute.

Se il futuro fosse molto simile al passato, le informazioni dell’Ia sarebbero utili più di qualsiasi congettura umana. In una tale condizione, l’Ia sarebbe di gran lunga più affidabile di quella umana. Ma sappiamo bene che la nostra specie ha da sempre vissuto nell’incertezza che, nel tempo attuale, è divenuta la caratteristica costitutiva. E l’intelligenza umana, pur con i suoi frequenti bias (errori cognitivi), si è evoluta e attrezzata per affrontare ambiguità e incertezza.

Un automa, a differenza di un vivente umano, non soffre né gioisce, non è autocosciente, non si innamora né si riproduce sessualmente, ha sì codici molto espressivi, ma non ha un linguaggio come il nostro. Non nasce né muore, tutt’al più, dopo la sua costruzione, si può spegnere e riaccendere.

Intelligenza umana e intelligenza artificiale sono incommensurabili, vale a dire radicalmente diverse. Sostenere che l’Ia possa raggiungere e superare l’intelligenza umana è fuorviante e non dà conto delle profonde differenze tra un congegno meccanico e un organismo vivente. L’Ia potrebbe essere, come furono e sono tuttora la scrittura e la stampa, di grande aiuto a tutti noi. Il suo impiego, negli ambiti più disparati, potrebbe migliorare non poco le nostre esistenze e, non essendo una tecnologia particolarmente costosa, chiunque potrebbe essere un suo fruitore.

È vero che crescono, comprensibilmente, le preoccupazioni per il rischio di un sensibile ridimensionamento dei posti lavoro, sebbene occorra precisare che si ridurrebbero soprattutto lavori routinari, poco gratificanti e spesso mal retribuiti. Per fare qualche esempio: commessi di supermercato, cassieri e contabili di banca, casellanti, impiegati di studi notarili e di ingegneria, impiegati pubblici addetti a compiti ripetitivi. Per chi li svolge, liberarsi da questi lavori potrebbe essere una conquista, invece nelle nostre società diventa una maledizione: quella dello spettro della disoccupazione. Dunque, non sarebbe giunta l’ora che policy maker, imprenditori e sindacalisti provassero a ripensare tempi e modi delle forme organizzative del lavoro, evitando di subire un evento così prevedibile?

C’è poi il pericolo della sicurezza. È noto che la sorveglianza nei confronti dei cittadini o di alcune categorie sociali è in paesi, come la Cina, dichiarata apertamente dai governi o dalle centrali di intelligence, mentre in altri Paesi, nonostante una modalità di impiego meno esplicita, non è escluso che possa già essere in parte tacitamente praticata. Anche se l’aspetto più inquietante è che l’Intelligenza artificiale possa essere utilizzata dai quei pochi super ricchi per i loro scopi non solo commerciali. Una preoccupazione che dovrebbe spingere i Paesi che ancora hanno uno stato di diritto ad attuare regolamentazioni a difesa delle identità dei propri cittadini.

Dunque, ancora una volta, non è la tecnologia che deve spaventarci, ma un suo eventuale uso di parte o, come purtroppo sembrerebbe profilarsi, di una piccola parte.

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