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Ecco come il ddl Calderoli legalizzerà disparità e ingiustizie sociali

L’associazione politico-culturale meridionalista 34 Testa al Sud (il cui nome richiama il 34 della smorfia napoletana, “’a capa” cioè “la testa”), si è presentata ufficialmente ieri in Senato, in un incontro con il senatore Peppe De Cristofaro, presidente del Gruppo Misto. Un’occasione per avanzare critiche e proposte su autonomia differenziata e sul ddl Calderoli sul tema dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), che sarà inviato alle Camere. Secondo Massimo Villone e Marco Esposito, presidente e segretario dell’associazione, il ddl parte da un presupposto errato: l’articolo 1 afferma che i Lep sono funzionali alla realizzazione dell’autonomia, mentre, in conformità all’articolo 117 della Costituzione e alla recente sentenza 192/2024 della Corte costituzionale, i Lep devono garantire i diritti civili e sociali su tutto il territorio, indipendentemente dall’autonomia regionale. Usarli per favorire intese differenziate ne stravolge il senso originario.

Il ddl, concentrandosi unicamente sulle materie indicate all’articolo 116 della Costituzione, riduce i Lep e impone una tripartizione dei diritti: quelli istituiti dai Lep, quelli esclusi perché ritenuti non regionalizzabili e quelli regionalizzati ma… trascurati. Tale divisione produce una mappa frammentata e disomogenea delle garanzie, dove l’accesso a servizi essenziali quali sanità, scuola e trasporti può variare drasticamente da regione a regione. La definizione dei Lep è affidata a un iter tecnico-burocratico: cabina di regia, relazioni annuali, atti regolamentari. Ma il nodo non è solo quali diritti garantire, ma come farlo. L’unica via seria è partire dalle Prestazioni effettive locali (Pel), cioè da ciò che i cittadini realmente ricevono oggi, e intervenire per colmare i divari, nel rispetto dell’articolo 3 della Costituzione. 34 Testa al Sud ha presentato ampia documentazione in tal senso.

Un ulteriore punto di contesa riguarda la scelta delle materie da destinare alla gestione regionale. La Corte ha infatti evidenziato settori non regionalizzabili – tra cui ambiente, energia, comunicazioni, istruzione e sicurezza del lavoro – che il ddl Calderoli invece include, mentre trascura altri ambiti rilevanti come commercio estero, ordinamento sportivo e professioni: una scelta più politica che costituzionale. Particolare attenzione merita il comparto istruzione: si propone la regionalizzazione del reclutamento, estendendo i Lep persino alle scuole paritarie. Ciò facilita una progressiva privatizzazione, lasciando irrisolti nodi strutturali come la gestione del tempo pieno, l’efficienza delle mense e la funzionalità degli asili nido.

Il tema delle risorse risulta cruciale. Senza un fondo perequativo efficace, l’autonomia rischia di tradursi in ulteriore diseguaglianza territoriale. La Corte ha ribadito la necessità di risorse certe, stabili e proporzionate ai bisogni, accompagnate da meccanismi di valutazione puntuali; tuttavia, Calderoli si limita a rimandare a “spese storiche” e “costi standard”, senza garantire che tutte le Regioni possano offrire livelli comparabili di servizio. Tralasciando i soliti temi (asili nido, assistenza, tempo pieno, ecc…), vorrei citare quello dei beni culturali: per ogni 100 euro destinati al Centro-Nord, il Mezzogiorno ne riceve solo 64,4. Tale squilibrio deriva in larga parte dall’Art Bonus, un meccanismo che consente erogazioni liberali con detrazione fiscale del 65% e che, per effetto della maggiore presenza di imprese e mecenati al Nord, concentra le risorse, aggravando così uno squilibrio strutturale. I criteri adottati per i Lep nei Beni culturali – come la lettura di quotidiani o l’uso delle biblioteche – penalizzano ulteriormente il Sud, trascurando le necessità di valorizzazioni specifiche delle regioni del Sud.

In conclusione, il ddl Calderoli non appare orientato a promuovere una reale autonomia, bensì tende a rafforzare la diseguaglianza. Basato sulle richieste di alcune Regioni e trascurando i diritti fondamentali dei cittadini, ignora i vincoli costituzionali, elude i rilievi della Corte e trasferisce al governo poteri che dovrebbero spettare al Parlamento. Il progetto sta trasformando uno strumento di autonomia in un meccanismo di legalizzazione dell’ingiustizia sociale.

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