Il grande sviluppo dell’economia italiana tra gli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo è stato ottenuto in un contesto istituzionale nel quale la libera iniziativa privata era accompagnata dalla presenza di imprese pubbliche, direttamente controllate dallo Stato.
Questo assetto particolare del capitalismo italiano ha dato luogo a una forma di economia mista, in cui lo Stato aveva sia un ruolo propulsivo e strategico in alcuni settori sia un ruolo di protezione sociale, garantendo i livelli occupazionali per le imprese in crisi e per le aree economiche depresse, in cui l’iniziativa privata era debole, come nel Mezzogiorno. Questa struttura economica consentiva anche esperienze di programmazione economica (Piano Vanoni, Piano La Malfa, Piano Giolitti), orientando la stessa iniziativa privata su definiti obiettivi di sviluppo economico e sociale. Tuttavia, non si può nascondere che il sistema delle imprese pubbliche fu gestito in Italia in modo da favorire clientele politiche e fenomeni di corruzione, ma non si può gettare l’acqua sporca insieme al bambino: nonostante questi fenomeni di degenerazione, il sistema di economia mista aveva garantito sviluppo e stabilità sociale.
Del resto, la storia ha smentito chi identificava l’impresa pubblica con la corruzione, perché la sua distruzione non ha segnato la fine dei fenomeni corruttivi: dalle privatizzazioni è sorto il crony capitalism, il capitalismo clientelare, in cui il successo imprenditoriale non dipende dalla capacità di cogliere le opportunità del libero mercato, ma dalle strette relazioni tra uomini d’affari e funzionari pubblici, a danno della libertà di impresa e della concorrenza.
La grande crisi energetica degli anni Settanta avrebbe avuto molto probabilmente un effetto più devastante se la rete di salvataggio statale non avesse ammortizzato il colpo, garantendo i livelli occupazionali e la produzione. La forte crescita del debito pubblico che fu l’effetto di quei salvataggi in condizioni di congiuntura negativa era certamente un “debito buono”, come direbbe Mario Draghi che, negli anni Novanta del secolo scorso, fu il regista di privatizzazioni di asset importanti in mano pubblica (come l’Iri, Telecom, Eni, Enel, Comit, Credit) e che oggi torna pentito a Canossa per predicare nel deserto.
Basterebbe citare la forte crescita della Repubblica Popolare Cinese, in questo ultimo ventennio, in cui l’iniziativa privata è fortemente controllata e diretta dallo Stato che partecipa attivamente alla vita economica con proprie strutture e in cui gli asset strategici restano in mano pubblica, sotto lo stretto controllo del Partito Comunista, che in fondo nella allocazione delle risorse pubbliche ha lo stesso ruolo che ha ricoperto in Italia la Democrazia Cristiana.
La storia ha dimostrato che solidi e duraturi processi di sviluppo possono essere ottenuti solo se allo Stato è riservato un ruolo strategico e di protezione sociale. Certamente dovevano essere corretti gli eccessi di interventismo ed eliminate le situazioni di inefficienza: lo Stato non può certamente costruire automobili o camicie, ma può controllare le risorse energetiche, le comunicazioni, le produzioni strategiche come l’acciaio, o assumere il ruolo propulsivo per investimenti in ricerca e sviluppo. La privatizzazione di imprese pubbliche ha avuto come effetto immediato proprio il crollo degli investimenti in ricerca e sviluppo: accadde nel settore delle telecomunicazioni, con la vendita della Telecom Italia, e oggi siamo in mano a fornitori stranieri.
Il miracolo della Silicon Valley non è effetto dell’iniziativa privata, ma è il prodotto di ingenti investimenti pubblici, senza il ruolo attivo dello Stato, dalle infrastrutture alle università, i grandi colossi come Apple e Google non sarebbero mai nati. Gran parte delle ricerche di base per l’iPhone (Siri, il Gps, internet, lo schermo tattile) sono state finanziate dagli investimenti pubblici. L’Unione europea troppo infatuata da falsi miti americani del libero mercato, è arretrata progressivamente demonizzando gli aiuti di Stato, ma come in altri casi la storia presenta il conto e ora lo Stato cacciato a calci dalla porta ritorna prepotente dalla finestra con la politica di riarmo, mettendo in discussione tutto la stupida e fanatica ideologia liberista che ci ha portato al declino.