All’indomani dell’evento franoso di Ischia, costato finora la vita a otto persone, si ritorna a parlare di dissesto idrogeologico e di aree a rischio, come se per il resto dell’anno questo problema non esistesse. Occorrono le tragedie e purtroppo i morti per parlarne? Oppure sarebbe meglio iniziare a preoccuparsi seriamente del problema? Siamo reduci da un’estate di caldo estremo, la più torrida registrata dal 1800, alla quale sono seguite siccità e inevitabilmente eventi meteorici estremi.
Da anni noi geologici evidenziamo che la tropicalizzazione del clima sta mostrando caratteristiche ed effetti a catena: ridotti livelli dell’acqua nei fiumi e nelle acque sotterranee, aumento delle aree a rischio di incendi boschivi, difficoltà per le acque meteoriche di penetrare nel sottosuolo ma di scorrere in superficie in modo selvaggio e incontrollato, con effetti erosivi e dissesto idro-geomorfologico.
Si continua a parlare di cambio climatico come prima causa di dissesto idrogeologico ma da tempo si aspetta la definizione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) per il quale finora “solo” rassicurazioni mentre si continua con il consumo del suolo, edificando e impermeabilizzando, spesso abusivamente, anche dove non si dovrebbe. Uno scenario critico come seria è la situazione in Puglia che registra rischio idrogeologico e pericolo reale della popolazione residente sul 90% del territorio.
Le cose da fare sono tante, a cominciare da una conoscenza geologica settoriale, indispensabile per una corretta pianificazione territoriale e per la definizione di progettazioni qualificate. Servono appropriati sistemi di monitoraggio dei dati meteoclimatici, urgenti finanziamenti atti a sostenere la stesura di carte tecniche tematiche come il proseguimento del progetto Carg che rischia, a fine di quest’anno, un nuovo stallo per mancanza di risorse non previste nella legge di bilancio.
Occorre sostenere studi per la definizione e l’aggiornamento della pericolosità idro-geomorfologica di dettaglio per valutare interventi a scala di bacino e non progetti isolati, spesso datati e senza una visione organica del problema. Serve accelerare nella definizione e cantierizzazione dei progetti finanziati atteso che a oggi non risultano “spese” somme stanziate nel 2014. Ma prima di tutto serve una consapevolezza del rischio da parte dei cittadini, spesso ignari delle problematiche del loro ambiente abitativo. È importante conoscere i Piani comunali di protezione civile da aggiornare “in tempo reale” e sensibilizzare alla riconversione di aree non più agricole o aree montane disboscate. Serve una politica di coraggio che, per il bene delle vite umane, delocalizzi la singola abitazione o l’intero quartiere edificato in un’area dove ogni intervento di mitigazione sarebbe semplice spreco di denaro pubblico. Molte cose sono da fare, a tutti i livelli, ma prima di tutto è indispensabile recuperare le competenze dei professionisti che ogni giorno operano sul territorio e che, con il loro supporto potrebbero consentire una pianificazione degli interventi a lungo termine.
Giovanna Amedei è presidente dell’Ordine dei geologi della Puglia
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