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Divario col Nord e aziende troppo piccole: Sud, la svolta resta lontana

Il Mezzogiorno è tornato al centro della politica nazionale? Sembrerebbe di sì, considerando le dichiarazioni della premier seguite alla cabina di regia del 23 dicembre scorso, convocata per un primo bilancio dei risultati della Zes unica, istituita dal ministro Raffaele Fitto.

Anzi, addirittura, il presidente del Consiglio si è spinto a definire il Mezzogiorno la locomotiva d’Italia, un Sud orgoglioso «che non chiede assistenzialismo e sussidi ma solo di essere messo nelle condizioni di competere ad armi pari con il resto d’Italia».

Il lettore scettico, non scrolli le spalle, perché le affermazioni della premier sono questa volta sostenute dai dati che lei stessa ha presentato. Dal gennaio 2024 le autorizzazioni rilasciate sono state 415 per circa 2 miliardi e 400 milioni di euro, superando il totale degli investimenti delle otto Zes precedenti, pari a 1,9 miliardi. I tempi di concessione sono stati veloci per una burocrazia notoriamente lenta, poco più di 30 giorni in media, con ricadute occupazionali previste di 8mila unità.

Dai dati dell’Agenzia delle Entrate risulta poi che 6.885 imprese hanno beneficiato del 100% del credito richiesto, per circa 2,5 miliardi di euro. Supera poi i 5 miliardi di euro il valore degli investimenti (in impianti, macchinari, attrezzature e immobili) e altri due miliardi e duecento milioni di euro sono stati stanziati dalla legge di bilancio, a cui vanno aggiunti 50 milioni di euro per la cosiddetta “Zes unica Agricola”. La premier ha poi ribadito che la politica del Governo ha dato già i suoi frutti positivi nel 2023 in termini di crescita del Pil, dell’occupazione e delle esportazioni.

Un quadro davvero positivo quello tracciato dal presidente del Consiglio che conferma la validità del suo modello liberista, fondato sull’uso di due strumenti: il regime semplificato dell’autorizzazione unica e il credito d’imposta per gli investimenti. Mentre l’autonomia differenziata sembra scomparire dalle priorità dell’agenda politica, emerge ora con prepotenza uno sconosciuto e sorprendente Mezzogiorno, ricco di potenzialità. Basta quindi col cronico vittimismo dei meridionalisti, se in giro ne esistono ancora, finalmente il Sud ha imboccato la via virtuosa dello suo futuro sviluppo. E, tuttavia, per dovere di verità, i dati forniti dalla premier non giustificano il suo esagerato ottimismo, perché una politica di natura congiunturale appena avviata non può modificare la struttura dell’economia meridionale, che da tempo percorre su un sentiero di ristagno, il cui segno più evidente è il declino della popolazione residente.

Secondo l’ultimo rapporto Svimez, nel corso dell’ultimo decennio nel Mezzogiorno la popolazione è diminuita di 730mila unità, nelle regioni centro-settentrionali, invece, la popolazione è aumentata di oltre 2,7 milioni, grazie all’apporto di immigrati che ha compensato il calo demografico. L’incremento di popolazione è il segno più significativo di un sentiero di crescita economica saldo e strutturale. I dati demografici dimostrano in modo inequivocabile che si è ampliato lo squilibrio nella distribuzione territoriale della popolazione: nel 2023 la quota di popolazione del Mezzogiorno sul totale nazionale è scesa al 33,5% (era il 36% nel 2001).

La vera svolta per il Sud potrà essere solo segnalata da un incremento della sua popolazione, perché è il calo demografico che smentisce l’efficacia delle politiche di sviluppo attuate in questo ultimo ventennio, basate sempre sullo strumento del credito di imposta. Non è corretto quindi usare dei dati di congiuntura e di breve periodo per sostenere improbabili svolte di carattere strutturale la cui esistenza può essere valutata solo nel lungo periodo. La struttura produttiva meridionale resta fortemente polverizzata e arretrata.

Secondo gli ultimi dati disponibili, nel Sud Italia sono presenti 1,7 milioni di imprese. Di queste, circa 320 mila, ovvero il 18,8% del totale, sono società di capitali e sono costituite per la maggior parte da imprese di dimensioni modeste, con un numero di lavoratori che varia da 1 a 9 addetti. Le aziende del Mezzogiorno sono il 18,5% del totale delle imprese presenti sul territorio nazionale e generano solo il 15% del valore aggiunto totale.

Persiste inoltre un importante divario in termini di competitività rispetto alle imprese del Centro-Nord. Il sistema di incentivi previsto tende a mantenere invariata la struttura produttiva meridionale, privilegiando le piccole e medie imprese, mentre occorrerebbe prioritariamente contrastare il nanismo imprenditoriale. Nonostante l’enfasi di propaganda, purtroppo non ci sono molte novità per il Sud.

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