Cattolico significa universale. Portare il Vangelo in tutto il mondo. I vescovi di Roma si sono confrontati da sempre con una sfida globale. Per affrontarla Giovanni Paolo II coltivò una “spiritualità geografica”: pregava con la carta geografica in mano. Francesco, venuto “dalla fine del mondo”, si è basato su alcuni punti fermi tratti dalla sua storia e dalla sua fede, radicalmente evangelica. Il nome scelto rimanda al santo che volle vivere il Vangelo “sine glossa”, senza aggiunte né omissioni, tutto intero e alla lettera.
Bergoglio è stato testimone e protagonista dei tornanti vissuti dalle Chiese latinoamericane nel ’900, alle prese con disuguaglianze profonde e con la possibilità di adottare anche nella teologia alcuni aspetti della lettura marxista della realtà economica e sociale, e delle soluzioni che essa propone. Possibilità cui il vescovo Bergoglio si è sempre opposto, convinto che occorresse trovare altre vie per difendere gli scartati, gli esclusi dal “sistema”.
In Bolivia, nel luglio 2015, partecipando a un incontro mondiale dei Movimenti popolari, affermò che «i problemi hanno una matrice globale» e occorre un «cambiamento che tocchi tutto il mondo. Le esclusioni e le ingiustizie sono molte e diverse, ma vi è un filo invisibile che le lega». Il filo è il sistema economico neoliberista. «In questo sistema senza etica, al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatra di questo dio denaro. Comandano i soldi», disse Francesco a Cagliari, nel settembre 2013, a una folla che lo aveva salutato con il grido «Lavoro! Lavoro! Lavoro!».
Quella sarda fu la seconda visita pastorale in Italia. Nella prima, sorprendentemente, si era recato a Lampedusa, per richiamare l’attenzione del Paese e del mondo sul dramma dei migranti, tra le vittime principali del sistema globale generatore di ingiustizia. Dall’isola siciliana Francesco parlò di «globalizzazione dell’indifferenza», attaccando l’abitudine a recepire stancamente le notizie dei naufragi e l’incapacità a reagire dell’europeo che vive in «bolle di sapone», immerso in una «cultura del benessere che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri».
Con queste chiavi di lettura Francesco si è approcciato all’Africa, continente che non aveva mai visitato prima dell’elezione a vescovo di Roma. Ha raccolto il testimone dei due sinodi speciali per l’Africa, il secondo concluso con l’esortazione apostolica del 2011 Africae Munus. La Chiesa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Bergoglio ne ha fatto il suo programma per l’Africa. Concretizzato con scelte inedite, come quella di aprire il Giubileo straordinario del 2016 a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana e teatro di uno dei tanti conflitti dimenticati della «terza guerra mondiale a pezzi». Con la sua presenza e la visita alla moschea e ai quartieri musulmani ha avviato un dialogo e instaurato un clima rinnovato che ha permesso in quel Paese la celebrazione delle elezioni in un clima rasserenato. Francesco ha poi preso in mano il dossier sudsudanese, lo Stato più giovane del mondo sconvolto da una lunga guerra civile tra cristiani. Il suo inginocchiarsi ai piedi dei due vicepresidenti in lotta convenuti a Roma, per implorare da loro uno sforzo di pace, resta una delle istantanee più impressionanti del pontificato. Sono note, poi, le relazioni fraterne annodate con una delle personalità più rappresentative e autorevoli – forse la principale – del mondo islamico, il grande imam dell’Università cairota di Al-Azhar, Ahmed Al-Tayyeb, con il quale ha sottoscritto la dichiarazione di Abu Dhabi sulla fratellanza umana del febbraio 2019, l’atto più forte e innovativo (e stranamente poco ricordato) contro l’ideologia dello «scontro delle civiltà» invocato da alcuni e temuto da molti.
«Il terzo millennio del cristianesimo sarà quello dell’Asia», amava ripetere papa Wojtyla. Perché ciò accada, era necessario trovare una soluzione alla crisi con la Cina comunista. Soluzione che è sembrata più vicina nell’ottobre del 2018, con la firma dell’accordo provvisorio tra Santa Sede e governo di Pechino, di durata biennale, rinnovato già tre volte, in un contesto di grande sofferenza e lacerazione, che vedeva una Chiesa “governativa”, formalmente tollerata dalle autorità, affiancarsi ad un’altra “patriottica”, fedele a Roma, perseguitata duramente. Una svolta, dopo che già in Vietnam era stato possibile ritagliare spazi per la Chiesa, aprendo una nuova era di crescita, mentre da tempo giungono dalla Corea del Sud notizie incoraggianti.
Dignità della persona, dialogo con tutti, pace. Queste le strade percorse da Francesco per disinnescare lo scontro delle civiltà e sottrarre pezzi ai conflitti che dilagano. È la sua eredità, per chi vorrà raccoglierla, quella di un cristiano convinto che vi sia un solo modo di vincere una guerra: non farla.
Stefano Picciaredda è ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Foggia