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Destra che perde si cambia. Ora Meloni agisca

Si potrebbe sintetizzare la faccenda così: dopo Pinuccio Tatarella, il diluvio. Già, perché, chiusa la stagione che ha visto nascere il centrodestra di governo proprio per mano del “ministro dell’Armonia”, la destra pugliese si è progressivamente ridotta ai minimi termini.

Il tracollo alle elezioni per il rinnovo del Consiglio metropolitano di Bari è solo l’ultima tappa di una parabola discendente cominciata ormai vent’anni fa. E suona come un campanello d’allarme per una coalizione che, almeno a parole, vorrebbe sfruttare la chance delle prossime regionali per strappare la Puglia al centrosinistra. Ora, le analisi di questo risultato elettorale possono essere le più disparate. Si può sostenere che molti esponenti di Fratelli d’Italia in Puglia siano “nani” rispetto a “giganti” come Tatarella.

Ma sarebbe un giudizio semplicistico e solo in parte veritiero, se si pensa che quel partito oggi esprime addirittura un vicepresidente della Commissione europea (Raffaele Fitto) e un sottosegretario alla presidenza del Consiglio (Alfredo Mantovano), ai quali si aggiunge un berlusconiano in predicato di diventare addirittura giudice costituzionale (Francesco Paolo Sisto). Una situazione paradossale: è come se l’esperienza del governo Meloni avesse ulteriormente “prosciugato” il centrodestra pugliese, concentrando a Roma i suoi migliori rappresentanti.

Ancora si può sostenere, con un po’ di cattiveria, che sia venuto meno il senso di appartenenza a una comunità umana e politica e che l’immediata conseguenza di questa degenerazione sia stata la “transumanza” (non parlo di “esodo” o di “fuga” perché, in questo caso, sarebbero termini eccessivamente nobili) di esponenti dal centrodestra verso la coalizione guidata da Michele Emiliano e Antonio Decaro. Tanti si sono lasciati ammaliare dalle sirene del potere e dagli incarichi pubblici, preferendo il denaro alla costruzione di un’alternativa al centrosinistra. Se a tutto ciò aggiungiamo la completa mancanza di visione e di capacità di elaborare una proposta politica, il gioco è fatto: si arriva alla situazione attuale in cui al campo largo, per mantenere la guida della Puglia, basterebbe candidare alla presidenza anche l’ultimo dei militanti.

È ora che qualcuno dica queste cose alla destra. E, soprattutto, è ora che, all’interno della destra, si cominci a fare i conti con vent’anni di scelte fallimentari anziché continuare ad “abbaiare” contro il sistema di potere incarnato da Emiliano e Decaro. Il che vuol dire, in concreto, rinnovare una classe dirigente che, a livello locale, si è dimostrata non all’altezza del proprio compito in occasione del rinnovo del Consiglio metropolitano di Bari, alle ultime comunali nel capoluogo e in chissà quante altre sfide elettorali in tutta la regione. E il trionfo di Adriana Poli Bortone a Lecce, frutto della capacità di allargare il centrodestra al civismo e della scelta di una candidata di indiscutibile caratura, non può bastare a migliorare il giudizio sulla destra pugliese. Anzi, dovrebbe un ulteriore motivo di riflessione: 81 primavere di donna Adriana la dicono lunga sulla capacità della destra pugliese di rinnovarsi senza perdere autorevolezza e credibilità.

Che aspetta, dunque, Giorgia Meloni a intervenire? Che aspetta ad aprire gli Stati generali dei conservatori, aprendo subito una stagione di confronto e rinnovamento che coinvolga non solo la destra post-missina ma anche moderati, cattolici, liberali e tutti coloro che non si riconoscono nei progressisti? Che aspetta ad aprire una scuola di politica che, almeno in prospettiva, contribuisca al ricambio della classe dirigente del partito e dell’intera coalizione? Se è vero che squadra che vince non si cambia, è altrettanto vero che una squadra capace di inanellare una serie incredibile di sconfitte va necessariamente cambiata. A meno che non si ritenga la Puglia solo ed esclusivamente come meta ideale per le vacanze estive.

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