Le note positive non mancano: il numero dei lavoratori extracomunitari di cui si prevede l’ingresso aumenta, si incentivano gli arrivi di personale formato nel Paese di origine e c’è anche l’impegno a ridimensionare il meccanismo del click day che in passato ha alimentato storture e polemiche. Eppure, nel decreto Flussi recentemente licenziato dal Consiglio dei ministri, non mancano le criticità relative al carattere di sanatoria di certe previsioni, alla mancanza di progetti formativi per i futuri lavoratori e all’incapacità di attrarre competenze diverse da quelle della bassa manovalanza.
Partiamo, come sempre, dai numeri. Per il triennio 2026-2028 il decreto Flussi prevede l’ingresso di circa 500mila lavoratori, il 54% dei quali destinato a lavorare come stagionale nel settore agricolo e in quello turistico. L’incremento rispetto al triennio precedente, quando gli ingressi non andavano oltre quota 452mila, è contenuto ma pur sempre utile ad affrontare le sfide dell’inverno demografico e ad assecondare le esigenze delle imprese, a cominciare da quelle meridionali.
I dati Istat relativi al 2024, infatti, parlano di 1,18 figli per donna, del 75% di decessi in più rispetto alle nascite e di un saldo negativo di 300mila persone l’anno. Sull’altro fronte, il bollettino Unioncamere-Excelsior prevede, per il periodo 2024-2028, un fabbisogno di manodopera di 3,8 milioni di persone, di cui 640mila sono extracomunitari destinati a lavorare nel settore privato.
Davanti a questi numeri appare evidente come l’immigrazione sia cruciale per colmare i vuoti nel mercato del lavoro. Il recente decreto Flussi ha aumentato il numero di persone di cui si prevede l’ingresso, proprio in considerazione dei fabbisogni espressi dalle parti sociali e delle domande di nulla osta al lavoro effettivamente presentate negli anni scorsi. E, nell’ottica di ridimensionare il meccanismo del click day, “spalma” le finestre temporali su tutto l’anno e continua a incentivare l’arrivo di personale che abbia sostenuto un percorso di formazione nel Paese di origine.
Le criticità, però, non mancano. Come ha opportunamente osservato Enrico Di Pasquale, esperto di immigrazione ed euro-progettazione, resta insoluto il problema della domanda di ingresso: a presentarla è il datore di lavoro che così finisce per assumere una persona che non conosce affatto, con la conseguenza che molte imprese scelgono di ricorrere al click day in relazione a extracomunitari già presenti sul territorio nazionale utilizzando il decreto Flussi a mo’ di sanatoria. Altra questione è quella dei progetti di formazione in patria, attualmente attivati soltanto in pochi Paesi come Marocco e Tunisia e in pochi settori come quelli legati alla grande industria.
Ancora, nonostante la sostanziale sburocratizzazione avviata negli ultimi anni, la procedura rimane complessa e presenta tempi spesso incompatibili con le esigenze delle imprese. Infine, non si può ignorare come il sistema imperniato sul decreto Flussi sia utile ad attrarre in Italia immigrati destinati a mansioni di basso livello e non personale specializzato.
In altre parole, il meccanismo del decreto Flussi necessita di una revisione, a 25 anni dalla sua introduzione, avvenuta con la legge Turco-Napolitano, e del suo successivo sviluppo, assicurato dalla legge Bossi-Fini nel 2002. Un’idea potrebbe essere la previsione di un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, magari a fronte del pagamento di una cauzione, o il ripristino della figura dello sponsor, presente in Italia tra 1998 e 2002, o l’attivazione di meccanismi di regolarizzazione puntuali. Qualsiasi cosa, insomma, per evitare che l’efficacia del decreto Flussi sia ridotta in un momento in cui l’Italia ha disperato bisogno di forza lavoro