A novembre 2024 il debito pubblico italiano ha superato i 3000 miliardi di euro (precisamente si attesta a 3.005.184). In un solo mese è aumentato di 24 miliardi. Una cifra che supera quanto stabilito dal Piano strutturale di bilancio che ha fissato il target del debito pubblico per il 2024 al 135,8% del Pil nominale, che corrisponde a circa 2.973 miliardi di euro. La stima per il 2025 registra un ulteriore rialzo al 141,1% del PIL. Più della metà del debito pubblico italiano, il 55,1%, è detenuto dalla Banca d’Italia (22,1%) e dagli istituti finanziari nazionali (33%), mentre le famiglie e altri enti residenti ne detengono il 14,3%. Il residuo, pari al 30,5% è in mano a non residenti, tra i quali primeggiano fondi di investimento che detengono la percentuale più alta di Btp e Bot (pari al 33% del totale titoli detenuto). La quota di debito detenuta da stranieri è in continuo aumento da marzo 2023, quando ha toccato il valore minimo degli ultimi venti anni (26,1%), mentre il picco è stato raggiunto ad ottobre 2009 (41,3 %).
Se il lettore non è allergico alle cifre, mi seguirà ancora nel disaggregare il dato complessivo per definire la quota del debito nazionale imputabile alle amministrazioni locali. Seguendo sempre i dati di Bankitalia il debito delle amministrazioni locali, sempre a novembre 2024, ammonta a 83,400 miliardi di euro, di cui il 45,3% grava sulle Regioni, il 6,2% sulle province e città metropolitane, il 3,38% sui comuni.
Se consideriamo il dato del debito delle amministrazioni locali per aree geografiche notiamo che il 26,5% è imputabile alle amministrazioni locali del Nord Ovest, il 12,5% a quelle del Nord Est, il 28,4% a quelle del Centro, mentre alle regioni meridionali è attribuito il 32,6%. Considerando il dato per il debito regionale nel 2022, il Lazio ha il primato con 28,3 miliardi di euro (pari al 24,3% del totale). Livelli elevati di indebitamento sono imputabili anche alla Campania con 15,6 miliardi di euro (il 13,4% del totale), seguita dalla Sicilia, Lombardia e Piemonte dove il livello di debito è poco superiore ai 10 miliardi.
Altre regioni, come Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata, hanno livelli di indebitamento più esigui, inferiori a un miliardo di euro. La regione pugliese ha una cifra un poco superiore pari a 1,3 miliardi. Nel periodo 1998-2022 l’incremento del debito regionale più rilevante è stato quello della Campania (+347%), seguita dal Lazio (+270%), dalla Calabria (+241%) e dalla Sicilia (+185%). Mentre regioni come il Friuli-Venezia Giulia (-16%), l’Emilia-Romagna (-19%) e la Sardegna (-39%) hanno attivato nello stesso periodo percorsi di riduzione dell’indebitamento. Occorre precisare che l’indebitamento degli enti locali è collegato alla realizzazione o ristrutturazione di opere pubbliche e infrastrutture e non è destinato al pagamento degli stipendi dei dipendenti della pubblica amministrazione o all’erogazione di servizi nei confronti della cittadinanza. Anzi se si osserva il dato dei dipendenti delle amminsitrazioni locali si nota che, tra il 2011 e il 2020, la Campania ha ridotto del 34,6% la sua burocrazia, seguita da Sicilia (-29,8%), dalla Sardegna (-18%), dalla Puglia (-5%) e dalla Calabria (-4,2%). Di contro, il Trentino Alto Adige ha incrementato il suo personale dell’80,9% e il Lazio del 29 % (dati Svimez).
L’elevato indebitamento degli enti locali nel corso degli anni coinvolge quindi direttamente la politica di sviluppo infrastrutturale intrapresa. Il totale degli investimenti pubblici è cresciuto in maniera significativa nel 2023, più nel Mezzogiorno (+16,8%) rispetto al Centro-Nord (+7,2%). Visto in questa prospettiva, l’elevato incremento del debito di alcune regioni meridionali corrisponde ad una espansione della spesa pubblica locale che almeno formalmente risponde ai fini virtuosi di sviluppo.